Film Archivi - Sound Contest https://www.soundcontest.com/category/recensioni/film/ Musica e altri linguaggi Mon, 15 Jun 2020 08:18:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.1 NICOLA IUPPARIELLO – VINCENZO RUSSO | Vinilici – Perché il vinile ama la musica https://www.soundcontest.com/vinilici-perche-il-vinile-ama-la-musica/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=vinilici-perche-il-vinile-ama-la-musica Thu, 29 Nov 2018 12:32:02 +0000 http://www.soundcontest.com/?post_type=recensioni&p=20758 Prima di esso la musica era essenzialmente “live”. Il disco è stato il primo sistema di registrazione di massa. Si poteva riprodurre in innumerevoli esemplari, tutti uguali, e trasportare da un luogo all’altro; ciascuno poteva possedere una esecuzione musicale ed ascoltarla quando voleva.

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Nicola Iuppariello - Vincenzo Russo
Vinilici – Perché il vinile ama la musica
Mescalito Film
2018

Il disco. Prima di esso la musica era essenzialmente “live”. Il disco è stato il primo sistema di riproduzione di massa. Si poteva riprodurre in innumerevoli esemplari, tutti uguali, e trasportare da un luogo all’altro; ciascuno poteva possedere una esecuzione musicale ed ascoltarla quando voleva. Inizialmente di gommalacca, spesso un’anima di cartone rivestita, rigido e, per questo, delicato e fragile. Inizialmente a 78 giri – solo successivamente a 45 e 33 giri – rappresentava la fotografia di un’esecuzione musicale ripresa in diretta e senza alcun intervento di edizione, ma ben presto assoggettato a tecnologie e processi sempre più sofisticati.

Subito dopo la radio, il disco è stato lo strumento più potente che ha permesso alla musica di uscire  dalla sua dimensione elitaria e di diffondersi in tutti gli strati della popolazione; con esso a iniziato ad affermarsi il concetto di possesso della musica.

Durante la II Guerra Mondiale l’esercito americano, per sollevare il morale dei propri militari, inviava dischi e fonografi sui vari fronti di guerra in cui era impegnato. Ma la fragilità e la delicatezza della gommalacca, di cui i dischi erano fatti, li rendeva inadatti per la rozzezza degli ambienti a cui erano destinati. Per questo l’esercito statunitense ricercò una soluzione più pratica ed efficace e la trovò nella resina vinilica, che si prestava alla produzione di dischi più robusti, elastici e flessibili. Nasceva il V-Disc, disco della vittoria, in vinile. Per la numerosità e la varietà dei fronti in cui i militari americani erano impegnati, e per la numerosità e la varietà degli artisti e dei generi musicali che parteciparono al progetto, fu un grandissimo contributo alla diffusione della musica d’oltreoceano in tutt’Europa e addirittura in tutto il mondo. Dopo la guerra, infatti, i V-Disc avrebbero dovuto essere distrutti ma, naturalmente, erano stati dispersi e dimenticati in mille luoghi, case private, locali, sale da ballo, e da questa grandissima e preziosissima ricchezza culturale presero spunto i giovani musicisti del primo dopoguerra. Da questi primi avvenimenti si avviò la vera diffusione di massa del consumo musicale, prima col 45 giri e poi col Long Playing a 33 giri e l’Extended Play.

Sembra banale raccontare questa storia nella nostra epoca, dove con un click sulla tastiera di un computer o di uno smartphone si può accedere in maniera diretta a migliaia di brani musicali, ma la ultime generazioni non immaginano neanche quanto fosse limitata la comunicazione musicale fino all’avvento degli strumenti informatici.

Un grandissimo contributo al racconto e alla memoria di questa storia, iniziata agli inizi del 1900, è rappresentato dal film-documentario Vinilici – Perché il vinile ama la musica, in cui si racconta come si è evoluto il disco di vinile dalla sua nascita fino al momento del suo maggiore successo, che ha raggiunto l’apice negli anni ‘70. L’iniziativa nasce a Napoli da un’idea di Nicola Iuppariello, scritto dallo stesso Iuppariello e da Vincenzo Russo, e realizzato con la regia di Fulvio Iannucci, condito da un ingrediente fondamentale: la passione. Passione per la musica e per le qualità dello “strumento” vinile. Passione che traspare sia nella cura delle riprese che scelta delle testimonianze e nella ricchezza di particolari nel racconto dei testimoni stessi. Passione necessaria, perché il vinile richiede passione, è un supporto scomodo, impegnativo, ingombrante, comunque abbastanza delicato e talvolta “rumoroso”. L’esatta antitesi del CD e ancor più della musica digitale, tanta e veloce, fredda, superficiale… Il disco richiede tempo e cure e, proprio per questo, è bello da toccare, da maneggiare, da scoprire, da ammirare, a cominciare dalle copertine, talora vere e proprie opere d’arte, spesso accompagnate da opuscoli, immagini, controcopertine, didascalie, testi delle canzoni… Ad esse contribuivano grandi artisti – uno su tutti Andy Warhol – grafici, fotografi e inventori. Erano veri e propri strumenti di comunicazione dell’intento artistico. A quell’epoca, molto spesso, i dischi si compravano anzitutto perché colpiti dalla copertina, poco o nulla ancora si sapeva della musica in essi contenuta e, spesso, si facevano sorprendenti scoperte.

Le nuove generazioni, ma anche chi ha vissuto in prima persona quell’epoca d’oro, (ri)troveranno nel film una serie di aneddoti, di storie e di curiosità, molte delle quali sconosciute ai più. Una delle prime case discografiche e delle prime presse per lo stampaggio dei dischi, ad esempio, erano nate a Napoli nel primissimo ’900 ad opera del Cavaliere Raffaele Esposito, commerciante di Macchine Parlanti! Le testimonianze dirette sono portate dai protagonisti dell’epoca, persone talvolta mature, a volte sopraffatte dall’emozione e dalla commozione nel corso del racconto orgoglioso della storia del ruolo proprio e dei propri avi, nonni e padri, nell’epopea del disco. Farò certamente torto a moltissimi degli ospiti del film, ma non posso citarli tutti e mi limiterò  almeno ai più noti: Renzo Arbore, Elio e Le Storie Tese, Mogol, Red Ronnie, Lino Vairetti dei mitici Osanna, Bruno Venturini, Carlo Verdone, assieme a moltissimi altri. Si racconta del mercato dell’usato e dei collezionisti, dei maniaci dell’ascolto attraverso apparecchiature esoteriche inimmaginabili.

Condivido un ricordo, che particolarmente colpisce, del critico musicale Red Ronnie, ripreso poi da Faso delle Storie Tese e da diversi altri testimoni: quando eravamo giovani e acquistavamo un disco, “disco” nel suo insieme, copertina compresa, si trattava quasi sempre di un piccolo investimento e quindi ci riunivamo, perché un disco nuovo era una piccola festa da condividere con gli amici, lo aprivamo, ne sentivamo il profumo, paragonabile solo a quello di un libro nuovo, lo osservavamo con attenzione, prima la copertina in tutti i suoi particolari e dopo, solo dopo, lo ascoltavamo attentamente e interamente, dall’inizio alla fine, più e più volte, nell’ordine che aveva deciso l’artista per rispetto della sua scelta compositiva. Questo e molto altro significa essere “Vinilici”. Perché chi ama i “Vinilici” amano la musica.

 

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PINO DANIELE | Il tempo resterà https://www.soundcontest.com/il-tempo-restera-pino-daniele/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-tempo-restera-pino-daniele Mon, 20 Mar 2017 10:16:32 +0000 http://www.soundcontest.com/?post_type=recensioni&p=16181 Cita Fossati il regista Giorgio Verdelli nel presentare il suo docufilm sul palco del Teatro San Carlo di Napoli, dove Pino Daniele – Il Tempo Resterà è stato proiettato il 19 marzo in anteprima assoluta. «Per chi l’ha visto e per chi non c’era e per chi quel giorno lì inseguiva una sua chimera». Un […]

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Pino Daniele
Il tempo resterà
Sudovest Produzioni
2017

Cita Fossati il regista Giorgio Verdelli nel presentare il suo docufilm sul palco del Teatro San Carlo di Napoli, dove Pino Daniele – Il Tempo Resterà è stato proiettato il 19 marzo in anteprima assoluta.

«Per chi l’ha visto e per chi non c’era e per chi quel giorno lì inseguiva una sua chimera».

Un film per tutti i fans di Pino Daniele, senza limiti spazio-temporali, concepito per essere visto (e rivisto) partendo dall’inizio o aprendo a caso quel voluminoso tomo di storia della musica firmato dall’artista napoletano. Ma ancor più un atto dovuto verso le nuove generazioni, verso quei giovani che hanno ascoltato Pino attraverso i propri padri (e forse anche dai nonni) e che avevano bisogno di andare oltre i riff di “Yes I know my way” o di “ ’O Scarrafone”. Per loro era necessario che a raccontare Pino fossero i tanti musicisti che l’hanno accompagnato sul palco o anche quelli che hanno solo suonato la sua musica (emblematico il ricordo di Stefano Bollani, incapace di modificare la scrittura di Pino Daniele, già perfetta e piena come prima quella di Renato Carosone).

Ciò che emerge dal montaggio dei materiali perlopiù inediti messi a disposizione dalla famiglia del musicista e da Rai Cinema, pazientemente selezionati da Verdelli in un lavoro a quattro mani con Alessandro Daniele, figlio maggiore di Pino, è il carattere assolutamente internazionale della sua musica, alla cui formazione contribuiscono le stratosferiche collaborazioni con artisti del calibro di Eric Clapton, Al di Meola, Phil Manzanera, Pat Metheny, Wayne Shorter, solo per citarne alcune, eppure l’assoluta naturalità con cui la sua produzione si fondeva con stili e linguaggi solo apparentemente differenti.

Già, perché il suo linguaggio, il suo modo di pensare e comporre era quello dei grandi. Ed era lo stesso trasmesso ai componenti della sua mitica band, con i quali il feeling era tale che, come ricorda James Senese in un momento del film, spesso le prove erano già una prova generale, «perché quando c’era la melodia tutti sapevano cosa fare e quando c’era da improvvisare tutti sapevano come suonare». Proprio quest’approccio così maturo alla musica, questo particolare trattamento riservato al materiale sonoro e testuale nato dalla vena originale di Pino, questa perfetta fusion(e) di blues e melodia napoletana, si palesò in modo evidente nella notte di San Gennaro del 1981, davanti a duecentomila spettatori.

«Il 19 settembre. Senza grande pubblicità e grazie ad un formidabile tam tam, c’è un musicista napoletano che con la sua band vuole cantare Napoli, a piazza Plebiscito, allora non una piazza ma un caotico parcheggio. Peggio: una gigantesca fermata di autobus. Il musicista è Pino Daniele. Con lui tutti gli altri che amavamo quanto lui, soprattutto James Senese l’americano di Secondigliano, il sax e la voce di Napoli centrale; e Toni Esposito, l’uomo che faceva vibrare, con tutto il sound possibile, qualunque oggetto toccasse…
Il tam tam funzionò. Ci andammo tutti, direi anche i ciechi e gli storpi. Non so quanti eravamo: centomila, duecentomila, trecentomila? Boh. Quello che è certo tutta l’anima della città era lì, sospesa a quel palco. Naturalmente sospesa. Senza differenze, tutti insieme, Nella più estrema tranquillità. Fu una vera festa collettiva. Grandiosa, che ancora oggi ogni tanto ricordiamo, come i gol di Maradona, come le battute di Totò.
Un fatto è certo: il miracolo ci fu davvero. Il sangue si sciolse. Di tutti quanti. Perché quella sera Napoli, dopo quasi un anno di silenzio, aveva ricominciato a cantare» (Amedeo Feniello).

Una cosa è certa. Dopo quella sera, Napoli, anzi l’Italia, seppe di avere una Super Band come quelle l’Oltremanica e anche d’Oltreoceano. E forse se ne rese conto quella notte lo stesso Pino Daniele che, come racconta l’amico Peppe Lanzetta, mentre l’entourage festeggiava il successo a base di frutti di mare e vino bianco, se ne stava da solo, emozionato, nell’ultima fila in uno degli autobus che l’avevano portato lì, incredulo per il successo di pubblico, per i consensi, per l’energia che la piazza gli aveva dato.

 

 

 

Ma nel film sfilano una dietro l’altra mille voci. Quelle appunto di chi ha suonato con Pino o magari l’ha conosciuto solo attraverso i suoi pezzi. O che ha apprezzato la persona ricavandone reciproca stima. Renzo Arbore, Stefano Bollani, Ezio Bosso, Lorenzo Jovanotti, Clementino, Roberto Colella, Gaetano Daniele, Enzo Decaro, Maurizio De Giovanni, Francesco De Gregori, Giorgia, Enzo Gragnaniello, Peppe Lanzetta, Maldestro, Fiorella Mannoia, Eros Ramazzotti, Massimo Ranieri, Ron, Vasco Rossi, Sandro Ruotolo, Giuliano Sangiorgi, Daniele Sanzone, Lina Sastri, Alessandro Siani, Corrado Sfogli, Massimo Troisi, Fausta Vetere. Dando per scontata la (onni)presenza protettiva dei sodali Joe Amoruso, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, James Senese, Rino Zurzolo. Ognuno con una storia incredibile da raccontare. Ognuno grato per la sua amicizia o anche solo per la sua “filosofia” di vita.

Non è un caso la data di questa presentazione. Il compleanno di Pino, certo, ma anche un modo per festeggiare un “padre”, che con i suoi consigli, i suoi testi forti o le parole d’amore, o malinconiche, o spiazzanti, con le sue “maleparole”, come si dice da queste parti, “c’ha ‘mparàt’ a campa’ ”

«Il tempo è una cosa che già esiste e nella quale noi ci inseriamo. Noi andremo via e il tempo resterà».

Proprio così, ognuno ha la responsabilità di quello che lascia nelle vite degli altri. E Pino ci ha lasciato il suo cuore e la sua musica.

 

 

Pino Daniele – Il Tempo Resterà è una produzione Sudovest con Rai Cinema e sarà distribuito in esclusiva al cinema da Nexo Digital. Riconosciuto come film di interesse culturale nazionale e indicato come Progetto Speciale dal Ministero dei Beni e delle attività culturali e del Turismo, con il Patrocinio di Siae, sarà presentato il 29 maggio all’Istituto di Cultura Italiana di Bruxelles.

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BUENA VISTA SOCIAL CLUB – Il Film https://www.soundcontest.com/buena-vista-social-club-il-film/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=buena-vista-social-club-il-film Thu, 22 Jul 2010 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/recensioni/buena-vista-social-club-il-film/ Una preziosa raccolta di immagini e musica, uno spaccato di vita unico, irripetibile, colori e forme, istantanee, forse in parte gia’ scomparse e comunque destinate ad essere sopraffatti dalla realta’ e dal progresso.Certo, e’ il documentario dell’evento musicale dell’orchestra Buena Vista Social Club che varca i confini del mare e si esibisce negli States ed […]

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BUENA VISTA SOCIAL CLUB – Il Film

2010



Una preziosa raccolta di immagini e musica, uno spaccato di vita unico, irripetibile, colori e forme, istantanee, forse in parte gia’ scomparse e comunque destinate ad essere sopraffatti dalla realta’ e dal progresso.

Certo, e’ il documentario dell’evento musicale dell’orchestra Buena Vista Social Club che varca i confini del mare e si esibisce negli States ed in Europa, ma e’ anche la raccolta dei racconti malinconici della vita quotidiana di questi musicisti orgogliosi e valenti, che hanno coltivato la propria arte a dispetto della durezza dei sacrifici che la vita ha richiesto loro, delle istantanee di paesaggi, strade malcurate e marciapiedi sbrecciati, automobili, motociclette e side car fuori dal tempo, edifici diroccati, grandiosita’ decadenti, maledettamente conservati nel tempo dagli effetti dell’isolamento, dall’embargo, conseguenza della discordia tra il regime isolano e gli States, dalle privazioni, dall’incrollabile dignita’ che contrasta la miseria.

Tutto questo e’ nel film-documentario di Wim Wenders, Buena Vista Social Club, dal nome di un antico ritrovo, sala di musica e da ballo in cui, paradossalmente, era vietato l’accesso ai bianchi. Girato nel 1998 a l’Avana, racconta come il chitarrista statunitense Ry Cooder, assieme al produttore musicale britannico Nick Gold, registrarono una straordinaria session, chiamata appunto Buena Vista Social Club, con l’Afro-Cuban All Stars, in cui, qualche anno prima, il musicista-ricercatore Juan de Marco Gonzalez aveva radunato i maggiori rappresentanti della musica, della tradizione e della cultura musicale cubana: Compay Segundo, Ibrahim Ferrer, considerato il Nat King Cole dell’Avana, Omara Portuondo, soprannominata l’Edith Piaf della musica cubana, Eliades Ochoa, Ruben Gonzales, Orlando “Cachaito” Lopez, Armandito Valdez, Manuel Mirabal Vazquez, Barbarito Torres.

Nel documentario si alternano brani musicali e spaccati di quotidianita’, in cui ognuno dei protagonisti raccontava un suo pezzetto di vita, un aneddoto; uno per tutti la ricetta a base di brodo di pollo, con cui Compay Segundo, oggi scomparso ma all’epoca gia’ ultranovantenne, lucido e forte come una vecchia quercia, spiegava come contrastare le conseguenze delle sbronze… Racconti quasi sempre semplici, accomunati dalla poverta’ e dalla passione per la musica e per il proprio strumento, dall’attaccamento alla vita. L’esperienza di orfano, i sacrifici ed il lavoro duro di Ferrer, la privazione del pianoforte di Gonzales allorche’, ritiratosi a vita privata, non aveva la possibilita’ di permetterselo e raccontava di non poter piu’ suonare a causa dell’eta’ e dell’artrite…


E alla fine ci si accorge come il popolo cubano, quel popolo, abbia vissuto la sua stagione di vita intendendo la musica come una religione, la religione come vita quotidiana e la vita quotidiana come musica.



Forse un giorno – nemmeno troppo lontano – l’arretratezza e la miseria che traspaiono da questo documento, unico ed irripetibile, finiranno; forse stanno gia’ finendo. Questo stesso giorno portera’ via con se per sempre dalle strade dell’Avana, di Santiago de Cuba, le bellissime auto anni cinquanta, con la vernice consunta, stuccate e ritoccate a mano, con vernice di diverso colore, gli abiti fuori moda, gli edifici fatiscenti, le povere case, l’arte virtuosa ed industriosa di riciclare cio’ che sembra irrecuperabile, senza gettare via nulla, e buona parte di quello che e’ possibile rivedere in questo film. E forse quel giorno cancellara’ anche la semplicita’ e la conservazione delle culture antiche; la musica cubana prendera’ vie nuove, alcune gia’ delineate, altre diverse ed imprevedibili, ed il merito di Wenders restera’ quello di aver immortalato, con l’iniziativa dell’Afro-Cuban All Stars di Gonzalez, evolutasi poi nell’orquesta Buena Vista Social Club di Gold e Cooder, una stagione della vita musicale cubana che altrimenti, un giorno, sarebbe forse caduta nell’oblio.

Il dvd, in versione da collezione, contiene anche documenti sulla storia di Cuba, le biografie di alcuni musicisti, cenni sula storia della musica cubana, ed un documento – come poteva mancare! – sulla storia del Che nazionale, Ernesto Guevara.

Tipo: Film documentario


Genere: Musicale


Regia: Wim Wenders

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Villammare Film Festival 2008 https://www.soundcontest.com/villammare-film-festival-2008-3/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=villammare-film-festival-2008-3 Sun, 31 Aug 2008 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/recensioni/villammare-film-festival-2008/ Si e’ felicemente conclusa la settima edizione del Villammare Film Festival, rassegna cinematografica tenutasi dal 27 al 30 Agosto e basata, come di consueto, sulla presentazione dei cortometraggi in gara, ma in cui assumono pure grande rilievo i momenti in cui sono proposti i grandi film d’autore, i grandi appuntamenti di cultura e spettacolo, i […]

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Villammare Film Festival 2008

2008



Si e’ felicemente conclusa la settima edizione del Villammare Film Festival, rassegna cinematografica tenutasi dal 27 al 30 Agosto e basata, come di consueto, sulla presentazione dei cortometraggi in gara, ma in cui assumono pure grande rilievo i momenti in cui sono proposti i grandi film d’autore, i grandi appuntamenti di cultura e spettacolo, i graditissimi dopocinema gastronomici e l’ormai tradizionale spettacolo di chiusura di fuochi pirotecnici.



Il Festival e’, orami da anni, organizzato e proposto in diretta televisiva da TV105, un’emittente televisiva privata che copre tutto il bacino della provincia di Salerno ma anche parte della basilicata e della calabria.


Ogni sera, dopo la proiezione dei corti in gara, la proiezione di film di particolare rilievo artistico-culturale ha completato il programma.


Abbiamo cosi’ rivisto L’Ultima Scena, un film di Nino Russo del 1988 – protagonisti, tra gli altri, Aldo Giuffre’, Vittorio Caprioli, Sergio Solli ed un giovanissimo Carlo Buccirosso – che racconta della crisi del teatro attraverso un piacevole gioco di malintesi e la paradossale  sovrapposizione tra momenti di vita reale intersecati alla mistificata finzione teatrale.


C’e’ stata poi l’attesissimo Biutiful Cauntri, film-documentario-denuncia sullo scottante, e tristemente attuale, argomento dei rifiuti tossici e delle discariche abusive controllate dalle ecomafie in campania per la regia di Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero.


E’ poi stato proiettato il film Pietralata, del regista romano Gianni Leacche, storia di un gruppo di amici, attori falliti, e delle loro crisi esistenziali conseguenti alla crisi del cinema.


Ancora, e’ stato riproposto il breve ma sentito Omaggio a Villammare, del regista Piero Marchetti.



Tra i personaggi piu’ noti intervenuti alla manifestazione sono da menzionare l’applauditissimo regista televisivo e cinamatografico Ugo Gregoretti, presidente della giuria di qualita’ che, nei suoi numerosi interventi in qualita’ di critico, e’ ritornato piu’ volte sull’auspicio che il linguaggio televisivo torni ad elevarsi e a riavvicinarsi a quello cinematografico, soprattutto per quel che riguarda la ricerca di nuovi spunti di qualita’ e di originalita’, e l’attore Massimo Bonetti, protagonista del film Pietralata.



Uno dei pezzi piu’ attesi di tutta la manifestazione e’ stato, in chiusura della serata finale, il concerto del maestro Nicola Piovani accompagnato dal suo quintetto. Autore di musiche di ogni genere, personaggio prolifico e fantasioso quanto schivo e semplice, Piovani, oltre ad aver collaborato con musicisti del calibro di Fabrizio De Andre’, ha dedicato buona parte della sua produzione alle colonne sonore e musiche teatrali, componendo, tra le altre, le musiche per gli ultimi film di Federico Fellini, cui il suo spirito compositivo si attagliava in modo sorprendentemente naturale e perfetto. E’ stato il tema de La Vita e’ Bella, di Roberto Benigni, a meritargli l’Oscar per la miglior colonna sonora.


Il concerto ha citato tutti i momenti migliori della produzione di Piovani, ed ha riservato un sentito omaggio a Fabrizio De Andre’. Poche le parole – quelle giuste che sono servite a raccontare il momento particolare o lo spirito celato dietro ogni motivo – e tanta musica sentita e partecipata, che ha particolarmente sorpreso e convinto per la sua spontaneita’. Piovani non e’ un personaggio che cerca di stupire, la sua tecnica vincente e’ piuttosto rivolta a conquistare il cuore del pubblico di ogni eta’ ed estrazione culturale, in maniera trasversale, giocando con gli strumenti della semplicita’. E ci riesce perfettamente, a giudicare dall’evidente gradimento del pubblico, doppio bis e standing-ovation finale.


Per la cronaca, la giuria tecnica ha decretato vincitore assoluto il corto Anche Il Sole Tramonta di Eric Alexander e la giuria popolare il corto Ogni Giorno di Francesco Felli.



Le foto degli eventi su Sound Contest:




gli ospiti del Villammare Film Festival


Le sintesi video degli eventi su Sound Contest:
Il
concerto di Nicola Piovani ed il Suo Quintetto



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FABRIZIO BENTIVOGLIO | Lascia perdere, Johnny https://www.soundcontest.com/lascia-perdere-johnny/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lascia-perdere-johnny Sat, 31 May 2008 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/recensioni/lascia-perdere-johnny/ I luoghi in cui la vicenda si svolge – la periferia di Caserta – l’epoca – la seconda meta’ degli anni ’70’ – e la scelta dei personaggi e dei protagonisti, sono indizi di forti coinvolgimenti personali in una storia dalle connotazioni fortemente auto-biografiche. Il nome del protagonista, Faustino Ciaramella, ricorda troppo quello del compositore […]

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Fabrizio Bentivoglio
Lascia perdere, Johnny
Distribuzione Medusa
2007

I luoghi in cui la vicenda si svolge – la periferia di Caserta – l’epoca – la seconda meta’ degli anni ’70’ – e la scelta dei personaggi e dei protagonisti, sono indizi di forti coinvolgimenti personali in una storia dalle connotazioni fortemente auto-biografiche.
Il nome del protagonista, Faustino Ciaramella, ricorda troppo quello del compositore e chitarrista degli Avion Travel Fausto Mesolella – che ne ha firmato la colonna sonora, aggiudicandosi per essa, recentemente, il ciack d’oro 2008 – che, proprio in quegli anni ed in quei luoghi, era un ragazzo di buone speranze.
Nelle musiche, composte per il film dallo stesso Mesolella, persiste quel vago stile western che ha contraddistinto le sue recenti interpretazioni, e che ben si addice alla somiglianza del paesaggio della campagna casertana di quegli anni ad una landa sconfinata del west.
Di fatto, le vicende sembrano precorrere la formazione, avvenuta in tempi successivi, della Piccola Orchestra Avion Travel, una sorta di proseguimento ideale di quella che, nel film, e’ la Piccola Orchestra Riverberi.
I personaggi che gravitano attorno al giovane Faustino sono tutti piuttosto singolari e malinconici. Coloro a cui lui chiede aiuto per affrontare la sua post-adolescenza – il maestro Falasco, un bidello-trombettista fallito e ubriacone, e l’indebitato impresario Raffaele Niro, che raccattano attorno a se musicisti improvvisati e soubrette improbabili per organizzare banali feste di campagna – sono gia’ afflitti da problemi piu’ grossi di loro e quasi neppure sufficienti a se stessi.
L’episodio in cui Fausto, durante un naufragio, cade di notte in un mare in cui non sa nuotare e da cui viene fortunosamente salvato da Annamaria – quasi un “Angelo Custode” per cui nutre una simpatia “speciale” – rappresenta ottimamente le confusioni e le contraddizioni sue, del contesto sociale in cui vive quel momento della sua vita, della sua confusa visione del futuro e del suo bisogno di sostegno, di un salvagente in mezzo al mare.
Lo spaccato di vita quotidiana racconta una periferia rurale, colorata da un’atmosfera surreale, rassegnata ed immobile, animata da persone dedite quasi unicamente al lavoro, le uniche che possono accontentarsi delle semplici, ingenue ed approssimative esibizioni organizzate da Niro per Falasco e per la sua banda. Tutte le scene rappresentano comunque lo specchio di una realta’ in cui, particolarmente chi ha vissuto quegli anni in una provincia del sud Italia, non stentera’ ad immedesimarsi.
Assieme alle musiche inedite della colonna sonora di Mesolella, c’e’ la piacevole occasione di ascoltare le re-intrerpretazioni in chiave anni ’70 di Arrivederci, di Umberto Bindi, e di Amore Fermati, di Fred Buongusto, affiancate da Peppe Servillo alla sua ottima prova di recitazione. Una nota particolare dev’essere riservata, infatti, al multiforme talento artistico dei fratelli Servillo; il gia’ citato Peppe, nei panni del crooner Gerardo Comino, ribattezzato artisticamente nel film Jerry Como, e l’eccellente Toni Servillo, nei panni del maestro-bidello Falasco.
Ma non sono da meno il giovane attore Antimo Merolillo nei panni di Faustino Ciaramella, un ragazzo dall’aria sufficientemente attonita e rassegnata per essere perfetto nella sua parte, il regista Fabrizio Bentivoglio, che impersona nel film il pianista Augusto Riverberi cui sa dare il giusto atteggiamento malinconico, vissuto e dispensatore di esperienza, del grande artista che, sebbene sulla via del tramonto, e’ un bel pò avanti a tutti gli altri in termini di qualita’ artistiche. Sara’ proprio lui, milanese d’hoc, che, non ricordando mai il nome di Fausto, lo soprannominera’ “Johnny” e che, quando apprendera’ che Fausto vorrebbe veramente fare della musica la sua professione, stemperandolo nel misero contesto in cui e’ inserito e nella propria grigia visione del futuro, lo esortera’ a lasciar perdere…
Ottime anche le interpretazioni di Ernesto Mahieux, nei panni dello sfuggente impresario Niro che, assieme a Falasco, stima Faustino-Johnny riconoscendo le sue potenzialita’ e che gli regalera’ una prestigiosa chitarra; di Lina Sastri, che impersona Vincenza, la madre di Fausto; e di Valeria Golino, l’amica Annamaria, parrucchiera-manicurista di giorno e presentatrice di sera.
La regia di Bentivoglio rende perfettamente l’atmosfera ironica e malinconica che si sovrappone alle difficolta’ cui va incontro un giovane partito dal sud che, pur accettando di passare dalla gavetta, non ha mezzi da investire per promuovere il proprio talento artistico, e riesce ad incanalarsi per la giusta strada solo se ha la fortuna di trovare qualcuno che creda in lui e lo aiuti.


Cast:


Faustino Ciaramella: Antimo Merolillo
Maestro Falasco: Toni Servillo
Raffaele Niro: Ernesto Mahieux
Augusto Riverberi: Fabrizio Bentivoglio
Vincenza: Lina Sastri
Annamaria: Valeria Golino


Regia: Fabrizio Bentivoglio
Sceneggiatura: Fabrizio Bentivoglio
Fotografia: Luca Bigazzi
Musiche: Fausto Mesolella
Montaggio: Esmeralda Calabria

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MARTIN SCORSESE | The Blues – Dal Mali al Mississippi (Feel Like Going Home) https://www.soundcontest.com/the-blues-dal-mali-al-mississippi-feel-like-going-home/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=the-blues-dal-mali-al-mississippi-feel-like-going-home Mon, 24 Mar 2008 23:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/recensioni/the-blues-dal-mali-al-mississippi-feel-like-going-home/ Prologo 1: Bianco e nero. Tre anziani musicisti neri in preda ad una specie di trance ipnotica suonano con i loro strumenti (due grancasse ed un piffero) una nenia primitiva.Prologo 2: inquadratura a volo d’uccello del Delta limaccioso del Mississippi. Una voce recita un antico proverbio africano sull’importanza della propria identità culturale (“le radici di […]

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Martin Scorsese
The Blues – Dal Mali al Mississippi (Feel Like Going Home)
USA, 2002 - colore, 83 minuti (distr. Dolmen Home Video)
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Prologo 1: Bianco e nero. Tre anziani musicisti neri in preda ad una specie di trance ipnotica suonano con i loro strumenti (due grancasse ed un piffero) una nenia primitiva.
Prologo 2: inquadratura a volo d’uccello del Delta limaccioso del Mississippi. Una voce recita un antico proverbio africano sull’importanza della propria identità culturale (“le radici di un albero non fanno ombra”).
Prologo 3: i canti degli hollers, gli schiavi neri impegnati nelle piantagioni di cotone nel profondo sud degli Stati dell’Unione, registrati all’inizio del secolo dallo studioso John Lomax e dal figlio Alan, accompagnano le immagini di repertorio dei lavori nelle fattorie e si confondono con la voce e la chitarra di Lead Belly, il primo bluesman ad essere inciso su disco proprio da Lomax.
Comincia così Dal Mali al Mississippi
, documentario della serie The Blues, prodotto e diretto da Martin Scorsese. Un viaggio alle sorgenti della “musica del diavolo”, nata proprio sulle rive del Mississippi ma che affonda le radici molto più in là, in Africa. Il bluesman Corey Harris, è l’interprete ideale cui affidare questo racconto proprio perchè ha costruito la sua carriera sul blues come strumento di indagine del passato per comprendere meglio il presente (“per conoscere te stesso devi conoscere il passato e per sapere dove vai devi sapere dove sei stato“). Il regista italo-americano spedisce il proprio “alter-ego nero” a raccogliere una serie di testimonianze di bluesmen viventi come Sam Carr che spiegano come il blues sia nato per alleviare le sofferenze di chi si trovava lontano da casa, deportato in un paese straniero, in catene, privato della propria dignità e della libertà, e come questi canti raccontassero di pene d’amore e donne crudeli per mascherare i temi reali, e cioè le angherie subite dai padroni bianchi.
Vite dure, volti segnati da sopravvissuti, quelli dei bluesmen che raccontano. Le mani però sono ancora veloci sulla chitarra e si possono vedere i lampi attraversare i loro occhi quando attaccano la prima nota.
Scorsese mescola sapientemente passato e presente, reperti d’epoca, interviste e jam improvvisate (ospiti tra gli altri Willie King, Keb Mo’). Racconta, per esempio, di Son House e di come la sua vita (e la sua musica) fossero continuamente in bilico tra estasi dell’amore ed il tormento del tradimento, tra dannazione e redenzione; e poi di come McKinley Morgansfield abbia abbandonato la piantagione in cui lavorava il giorno in cui ricevette una copia del suo primo disco, per andare a Chicago e diventare il musicista che rivoluzionò il blues e che noi oggi conosciamo come Muddy Waters. Oppure di chi, come Robert Johnson, ci ha lasciato pochissime canzoni e ancor meno informazioni sulla sua vita, ma nonostante tutto continua ad influenzare generazioni di musicisti blues, rock, jazz, che continuano ad interpretare la sua musica.
L’esodo dalle campagne verso le grandi città è il cambiamento radicale di una società che si traduce, a livello musicale, nel passaggio dal blues “rurale” quello urbano ed “elettrico” di Muddy Waters e di John Lee Hooker, ma è soprattutto il capitolo dedicato al vecchio Othar Turner a chiarire finalmente i contorni del legame tra il blues e l’Africa. Il piffero di Othar (è lui uno dei musicisti del prologo) e le percussioni con cui si accompagna sono la prova lampante del fatto che sulle colline a Nord del Mississippi hanno attecchito e si sono conservate fino ai giorni nostri la poliritmia ed i ritmi tribali ed ancestrali di matrice africana (i tamburi, di origine africana, erano proibiti dai padroni delle piantagioni che temevano potessero eccitare alla rivolta gli animi degli schiavi).
Per approfondire questo punto Harris vola in Africa, nel Mali per la precisione, e s’intrattiene con i musicisti più influenti del paese. Quanta dignità, quanta saggezza e quanta consapevolezza c’è nelle parole di Ali Farka Toure o Toumani Diabatè! Il musicista americano viene a contatto con la cultura dei suoi avi, apprende la vicenda dei griot, suonatori di kora e custodi della memoria e della cultura mandinga, scopre che pene d’amore e sofferenza sono temi universali sempre attuali, nell’America schiavista del XIX secolo come nelle canzoni di Salif Keita, e soprattutto torna a casa con la convinzione che questa questa musica e questa cultura vadano preservate e trasmesse come preziosa eredità per le generazioni a venire.


Link:
Recensione al disco
Daily Bread di Corey Harris

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BERTRAND TAVERNIER | ‘Round Midnight (A mezzanotte circa) https://www.soundcontest.com/round-midnight-a-mezzanotte-circa/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=round-midnight-a-mezzanotte-circa Mon, 24 Mar 2008 23:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/recensioni/round-midnight-a-mezzanotte-circa/ Da tempo Bertrand Tavernier sognava di girare un film sul jazz. Grande appassionato della musica afro-americana, in particolare di be-bop, il cineasta francese desiderava rendere omaggio alla magia che si sprigiona all’atto della creazione musicale, al genio che si manifesta in quell’attimo sublime che e’ la “composizione istantanea”, vale a dire l’improvvisazione jazzistica, e soprattutto […]

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Bertrand Tavernier
‘Round Midnight (A mezzanotte circa)
Warner Home Video - 1986
2008

Da tempo Bertrand Tavernier sognava di girare un film sul jazz. Grande appassionato della musica afro-americana, in particolare di be-bop, il cineasta francese desiderava rendere omaggio alla magia che si sprigiona all’atto della creazione musicale, al genio che si manifesta in quell’attimo sublime che e’ la “composizione istantanea”, vale a dire l’improvvisazione jazzistica, e soprattutto ai molti musicisti la cui grandezza li ha visti risplendere come fulgide stelle e spegnersi, chi rapidamente come una cometa fiammeggiante chi lentamente come una candela, vittime del loro ego, della loro fragilita’ e sensibilita’ oltre che di droga e alcool.


L’occasione giunge quando gli passano per le mani le carte di Francis Paudras, il grafico parigino che strinse amicizia con Bud Powell durante il suo soggiorno nella capitale francese. Il geniale pianista americano (dedicatario del film assieme a Lester Young) ispira, con la sua drammatica esistenza segnata da una grave malattia mentale aggravata dalla tossicodipendenza, la vicenda di Dale Turner (Dexter Gordon), anziano sassofonista di colore appena trasferitosi a Parigi da New York. E’ il 1959 e forse restare lontano dalla Grande Mela per un pò lo aiutera’ ad uscire dal tunnel della droga e dell’alcool e a ritrovare la creativita’ perduta. Ma neppure suonare divinamente tutte le sere al Blue Note, il celebre jazz-club parigino, allevia la sua sofferenza: di bar in bar, di bicchiere in bicchiere il suo declino, fisico e psicologico, sembra irreversibile. Solo la passione, la dedizione e l’affetto di Francis (Francois Cluze’t) – un disegnatore squattrinato innamorato del jazz a tal punto da sedere sul marciapiede fuori del locale per sentire la musica – lo salvano: Francis, che e’ separato dalla moglie e vive con la figlia Be’range’re, porta Dale a vivere in casa sua, si prende cura di lui, lo recupera nelle peggiori bettole, nei commissariati, negli ospedali dove puntualmente finisce il vecchio, lo aiuta a riconquistare dignita’ e fiducia in se stesso. Grazie a Francis la scintilla della creativita’ torna a brillare nuovamente e Dale torna a comporre e ad incidere dischi. Purtroppo il suo destino si compira’ di li’ a poco lontano da Parigi e dall’equilibrio appena ritrovato, in quella New York le cui radici non si possono cancellare.


C’e’ molto di Bud Powell in questo Dale Turner: dai vizi che minavano la sua salute ai continui problemi con la giustizia, ai periodici internamenti in ospedali psichiatrici; dalla compagna-manager-tutrice Buttercup (e’ il nome della seconda moglie di Powell) ad una figlia mai conosciuta ed incontrata troppo tardi a New York per arrivare all’apparizione, tra i musicisti del Blue Note, di Pierre Michelot, il contrabbassista che accompagnava tutti i grandi jazzisti americani che passavano per Parigi, Powell compreso. Ma questi non e’ l’unica fonte d’ispirazione di Tavernier: c’e’ Lester Young, il grande tenor-sassofonista che con il suo stile inconfondibile ha influenzato generazioni di musicisti, celebre per il suo cappello a tesa larga cosi’ come per il bizzarro appellativo lady, usato indifferentemente con le persone e con il suo strumento. E c’e’ Dexter Gordon, of course. Impossibile non rintracciare nel tormentato personaggio i riflessi autobiografici di un musicista straordinario con un passato da eroinomane, che ha sfiorato gli abissi della perdizione e ne e’ riemerso piu’ forte, laddove molti suoi compagni hanno fallito.


Dale Turner incarna perfettamente il ruolo del jazzista maudit che ha riempito le cronache e continua tuttora a popolare l’immaginario collettivo: un artista che doveva fare i conti con un sistema che discriminava i musicisti di colore o li spremeva fino all’ultima goccia (cammeo di Martin Scorsese nel ruolo del manager newyorchese cinico e profittatore), la cui unica via di fuga consisteva nella droga e nell’alcool. La loro insofferenza alle regole di quel sistema sfocio’ in quella rivoluzione epocale che fu il be-bop, fenomeno in larga parte incompreso a quei tempi, mal tollerato e, in alcuni casi, apertamente rifiutato. Cosi’ non era raro che a meta’ degli anni ’50 i jazzmen afro-americani se ne volassero in Europa: il Vecchio Continente mostrava di apprezzare molto di piu’ la novita’ portata dai boppers e capitava spesso che artisti come Kenny Clarke o Bud Powell si trasferissero per lunghi periodi a Parigi.


Ma non e’ tutto. Il regista francese ci restituisce il piu’ vivo ritratto di un uomo e del suo rapporto totalizzante con la musica: alla ricerca del Bello, dell’Assoluto attraverso l’improvvisazione, Turner ha dedicato tutta la vita, tutte le proprie energie, ha sacrificato gli affetti; per tornare a comporre e ritrovare quella purezza che lo legava alla musica egli affronta i propri demoni interiori e, seppure soltanto per poco, li sconfigge.


Dexter Gordon (premiato con un ‘Caesar’ e un ‘David’ e candidato all’Oscar) e’ semplicemente grandioso nell’infondere al suo personaggio tutta la disperazione, il senso d’abbandono e d’impotenza, quasi di rassegnazione di un artista sul viale del tramonto: non deve nemmeno recitare, gli basta essere se stesso. Il suo Dale non ha altri mezzi per parlare di se, del suo mondo, dei suoi sentimenti, dei suoi desideri e delle sue frustrazioni, delle gioie e della sofferenza se non il suo strumento, ed e’ condannato alla solitudine proprio da quella musica che per lui e’ esperienza unica e totalizzante. “Sono stanco di tutto, tranne che della musica” ripete a piu’ riprese: egli si accende, si sente vivo solo quando imbraccia il suo sassofono che diventa un prolungamento del suo corpo ma soprattutto un’estensione della sua anima. Gordon non ha bisogno di recitare: gli basta essere se stesso, per lui recitare e’ come improvvisare al sax, da buon jazzman.


Bertrand Tavernier sceglie accuratamente di raccontare il suo dramma interiore evitando uno stile documentaristico freddo e oggettivo ed assumendo invece il punto di vista molto cinematografico di Francis: egli non giudica, nonostante siano evidenti le debolezze di Dale, la sua corsa verso l’autodistruzione, l’incapacita’ di costruire un rapporto con una figlia che non ha quasi mai visto (un tema – quello del difficile rapporto padre-figlio – che compare come una costante del cinema di Tavernier e che viene declinato anche nel legame contraddittorio che unisce il pubblicitario alla figlia che non esita a lasciare sola a casa per andare a sentire il suo idolo) ma con affetto ed indulgenza si fa testimone della grandezza e miseria di un artista. “Questa e’ l’arte, prendere o lasciare”, sembra dire. Ogni primo piano indaga i sentimenti piu’ intimi e riposti dei protagonisti, ogni carrellata, ogni piano-sequenza apre squarci sulla realta’ dei musicisti. Francis (che e’ un pò l’alter-ego del regista) affida alla memoria della sua piccola cinepresa gli istanti felici delle esibizioni di Dale e le brevi pause di tranquillita’ vissute insieme: passato e presente si fondono mentre lui osserva con nostalgia assieme alla figlia gia’ grande i filmini girati in 8mm, quasi a voler fermare quegli attimi di una stagione irripetibile per la musica.


Tuttavia questo sincero atto d’amore e devozione non sarebbe potuto esistere senza l’apporto di quegli artisti che hanno accettato di suonare e recitare: sotto la direzione di Herbie Hancock artisti del calibro di Wayne Shorter, Tony Williams, Billy Higgins, Cedar Walton, Ron Carter, Bobby Hutcherson, John McLaughlin, Freddie Hubbard sprofondano lo spettatore nell’atmosfera piu’ autentica dei jazz-club (complici le scenografie accuratissime di Alexandre Trauner, che ha ricreato con perfetta verosimiglianza il Blue Note parigino, e la cura elevatissima del suono da parte di Michel Desrois e William Flageollet), lo irretiscono con la magia di una musica intensa ed emozionante. Sono loro i veri eroi discreti di un film che diventa corale laddove descrive la parabola di un tragico cavaliere solitario.


 


Link:
Recensione della colonna sonora del film:
AA.VV.: ‘Round Midnight

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BAZ LUHRMANN | Moulin Rouge https://www.soundcontest.com/moulin-rouge/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=moulin-rouge Wed, 21 Jun 2006 22:00:00 +0000 http://soundcontest.designet.it/recensioni/moulin-rouge/ Moulin Rouge e’ un colossale musical che racconta, nella sua trama, semplice come in una favola d’altri tempi, i drammi dei suoi protagonisti in chiave fantastica. Una grande commedia nella commedia, in cui si respira l’atmosfera dei “luna park” dell’inizio del XX secolo. Il Moulin Rouge e’ un locale di di Montmartre, nella Parigi del […]

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Baz Luhrmann
Moulin Rouge
Bazmark - 20th Century Fox
2001


Moulin Rouge e’ un colossale musical che racconta, nella sua trama, semplice come in una favola d’altri tempi, i drammi dei suoi protagonisti in chiave fantastica. Una grande commedia nella commedia, in cui si respira l’atmosfera dei “luna park” dell’inizio del XX secolo.



Il Moulin Rouge e’ un locale di di Montmartre, nella Parigi del 1900, dove tra spettacolo, vizio e perdizione, Satin – una stupenda Nicole Kidman – vive la sua misera esistenza tra i lustrini ed i suoi compagni saltimbanchi, guitti e ballerine di Can-Can, prostituendosi ai ricchi borghesi della Parigi bene.


Tra i personaggi, clown e, al tempo stesso, spettri di se stessi, la bellissima Satin e’ una  sfavillante ballerina ed una frustrata prostituta, inconsapevolmente minata da una gravissima tubercolosi, che non lascia speranza al suo futuro. Si ritrovano, quindi, tutti gli elementi classici di ogni favola, l’amore dello scrittore idealista Christian per Satin contrastato dal “cattivo”, l’antagonista Duca oltre che dalla malattia e dalla morte, e l’eterna ricerca della liberta’.


Tutta la vicenda appare ammantata da un’atmosfera velata, impalpabile ed irreale, come osservata attraverso un caleidoscopio che illumina di falsi colori il dramma delle tristi vicende dei protagonisti.


La recitazione, diretta dal regista Baz Luhrmann, e’ volutamente forzata ed istrionica, come si addice ad una compagnia di guitti, i gusti del cui pubblico sono piuttosto rozzi e dove quello che piu’ conta non e’ esattamente la qualita’ dello spettacolo, e riesce a donare leggerezza ed ironia – in alcune scene addirittura comicita’ – al racconto di un dramma dove l’amore di Satin per il giovane Christian, non e’ destinato ad un lieto fine.



Ma il vero elemento portante nel film, accanto all’originalita’ delle scelte recitative, sta nella selezione musicale dei brani che costituiscono la colonna sonora. In forte contrasto con l’epoca e l’atmosfera, le musiche innestate nella trama del film rappresentano il meglio del meglio della produzione della musica rock della fine del secolo scorso, sottoposte ad arrangiamenti audaci ed interpretazioni sorprendentemente originali, a tratti inusuali ed  irriverenti, ma in cui denominatore comune e’ l’altissima classe.


Si ascoltano, tra tutte le altre meravigliose canzoni, una stupenda versione di Your Song, di Elton John, eseguita da Ewan McGregor ed Alessandro Safina; One Day I’ll Fly Away, scritta da Will Jennings e Joe Sample, portata al successo da Randy Crawford ed eseguita da Nicole Kidman; Nature Boy, di David Bowie; il Tango di Roxanne, che Sting pare abbia scritto, a suo tempo, effettivamente ispirato da alcune prostitute che vedeva dalla finestra di un suo soggiorno Parigino, eseguita in una memorabile versione da Ewan McGregor, Jose Feliciano e Jacek Koman; Lady Marmalade eseguita da Christina Aguilera.


Alcune eccellenti citazioni sono riservate a Love Is A Many Spendored Thing, One More Night di Phil Collins, Like A Virgin di Madonna e a The Show Must Go On dei Queen.


Moulin Rouge e’ considerato un piccolo capolavoro tra i musical cinematografici ed e’ disponibile in DVD, arricchito da molti contenuti speciali. Sono stati pubblicati anche diversi Cd della colonna sonora.



Cast:


Regia: Baz Luhrmann


Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Craig Pearce


Direttore della fotografia: Donald M. McAlpine


Montaggio: Jill Bilcock


Musiche Originali: Craig Armstrong



Interpreti:


Nicole Kidman, Satine


Ewan McGregor, Christian


John Leguizamo, Toulouse Lautrec


Jim Broadbent, Zidler


Richard Roxburgh, Duca di Worcester


Jacek Koman, l’Argentino


Caroline O’Connor, Nini’



Brani:


01. Nature Boy – David Bowie


02. Lady Marmalade – Christina Aguilera, Lil’ Kim, Mya, Pink


03. Because We Can – Fatboy Slim


04. Sparkling Diamonds – Nicole Kidman, Jim Broadbent, Caroline O’Connor, Natalie Mendoza, Lara Mulcahy


05. Rhythm Of The Night – Valeria


06 Your Song – Ewan McGregor, Alessandro Safina


07. Children of the Revolution – Bono, Gavin Friday, Maurice Seezer


08. One Day I’ll Fly Away – Nicole Kidman


09. Diamond Dogs – Beck


10. Elephant Love Medley – Nicole Kidman, Ewan McGregor, Jamie Allen


11. Come What May – Nicole Kidman, Ewan McGregor


12. El Tango De Roxanne – Ewan McGregor, Jose Feliciano, Jacek Koman


13. Complainte De La Butte – Rufus Wainwright


14. Hindi Sad Diamonds – Nicole Kidman eamp; Cast


15. Nature Boy – David Bowie eamp; Massive Attack


16. Lady Marmalade – Christina Aguilera, Lil’ Kim


17. Your Song (Instrumental)


18. Sparkling Diamonds


19. One Day I’ll Fly Away – Nicole Kidman


20. The Pitch


21. Come What May


22. Like A Virgin – Jim Broadbent


23. Meet Me In The Red Room – Amiel


24. Your Song (Instrumental)


25. The Show Must Go On


26. Ascension Nature Boy


27. Closing Credits Bolero

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