Intervista al cantautore Andrea Percassi

0
1083

Abbiamo intervistato il cantautore Andrea Percassi in merito all’uscita del suo nuovo lavoro in studio “Desertio”, realizzato con il chitarrista Davide Zini e uscito per Dimora Records e Mayday il 31 ottobre scorso.

Chi è Andrea Percassi uomo e artista?

Andrea Percassi come uomo in questo momento è quasi come se non esistesse. Tutto quello che faccio lo considero nella dimensione artistica, in funzione delle mie opere. È così da quando a 15 anni ho deciso di voler diventare un musicista professionista. Per fortuna ad ora nessuno ha ostacolato più di tanto questa mia scelta. Sono consapevole che per diventare un artista vero si debbano fare delle rinunce, ma alla fine tutte le professioni richiedono questo.

Come nasce la tua collaborazione con Davide Zini?

Ci siamo conosciuti quando frequentavamo la stessa scuola musicale. Io studiavo canto e lui chitarra e ci incontrammo in una lezione di coro. Per mesi non ci sentimmo, poi ci ritrovammo a una festa messicana a Bergamo. Da quella sera iniziammo un viaggio insieme scoprendo un passato in comune con le stesse esperienze esistenziali. Inoltre ci unisce il gusto musicale: Davide ha una formazione Jazz e io provengo dal cantautorato, ma apprezzo molto artisti come Miles Davis e Duke Ellington e così come lui i cantautori. Siamo anche simili fisicamente, ci dicono che sembriamo due fratelli. Veniamo entrambi da un piccolo paese vicino a Bergamo, Nese, frazione di Alzano Lombardo.

Cosa significa per te amare? Cosa significa lasciare?

L’amore può avere tante sfaccettature e anche se proviamo a dividerlo in categorie è comunque difficile dargli un significato esauriente. Per me amare significa saper aspettare una persona, tollerare le cose che di lei non ci piacciono, rispettarla, saperle venire incontro. È difficile abbandonare qualcosa definitivamente, l’abbandono totale è un’illusione. Le esperienze passate sono sempre con noi. Si può solo aspettare che il tempo faccia il suo corso e che affievolisca il dolore per ciò che si è perduto.

Nel tuo brano “Niente di serio” tocchi una tema molto delicato. Vuoi parlarcene? Come hai scoperto dell’esistenza del suicidio? Ci sono degli episodi nella tua vita legati a questo tema di cui ci puoi parlare?

Inizialmente era un pezzo più ironico. Circa un anno e mezzo fauna conoscente della mia ex ragazza le aveva confidato la volontà di suicidarsi. Poche ore dopo questa confessione però la stessa persona aveva pubblicato alcune storie su Instagram mentre era in discoteca a divertirsi. Allora ho ironicamente commentato la situazione, nel tentativo di sdrammatizzare, dicendo alla mia ex qualcosa come “del tipo: ‘voglio suicidarmi, però niente di serio’”. Da questo episodio è nato il brano.

Scoprii dell’esistenza del suicidio a 6 anni mentre leggevo un capitolo di Dragon Ball. Quando avevo 12anni si suicidò il papà di un mio amico ed ebbi la conferma che quel gesto era una cosa reale e non solo narrazione. A 14 poi anni ascoltai Preghiera in gennaio di De André e ne rimasi folgorato. Da lì iniziai ad approfondire Tenco, cantautore presumibilmente morto suicida a cui è dedicato il brano di De André di cui sopra. In seguito, scoprendo sempre di più il mondo della musica e dell’arte in generale, mi accorsi che purtroppo il suicidio un gesto ricorrente fra gli artisti di ogni epoca.

 Cosa racconterai-racconteresti ai tuoi figli dei tuoi 20 anni? Quali sono i ricordi e gli insegnamenti da preservare?

 Se avrò dei figli vuol dire che i miei vent’anni saranno andati bene. Dirò loro che dal letame può nascere un fiore. Bisogna avere il coraggio di investire in quello in cui si crede.

Come ti vedi all’interno di questo presente? Come ti immagini in futuro?

Non ho un vero ruolo nel mondo. Per motivi di salute ho lascito la scuola e non ho mai trovato una mia dimensione lavorativa: per anni ho scritto articoli per siti musicali, poi ho smesso. Le canzoni sono le uniche cose che riesco ancora a concepire e a scrivere. Tuttavia capisco che è difficile affermarmi come musicista e perciò basta poco per farmi avvilire. In questa scelta i miei genitori e i miei amici mi hanno sostenuto, ma ciò che devo tenere a bada è il mio auto giudizio. Sono eccessivamente autocritico e questo mi nuoce parecchio.

In futuro spero di poter vivere di musica lontano dalle grandi città.

Come nasce la necessità di pubblicare un lavoro così introspettivo in un periodo storico come questo?

Il periodo storico è accessorio, lo avremmo pubblicato comunque al di là delle situazioni, ci sentivamo di farlo. Troviamo stupido che oggi certi argomenti quando messi in musica siano tabù, quando fino a pochi decenni fa nelle canzoni italiane li si trattava abitualmente. Forse, parafrasando Ivano Fossati, la gente ha davvero paura di avere a che fare proprie emozioni.

Hai programmi riguardo a concerti futuri?

Abbiamo già fatto un concerto di presentazione a Bergamo e ne stiamo organizzando altri. Per ora sappiamo solo che sicuramente suoneremo a Rimini all’inizio dell’anno prossimo. Non è facile trovare delle date perché i locali sono un po’ restii far suonare artisti con un repertorio come il nostro e questa è una cosa triste, ma che francamente non mi tange: la tristezza non mi rattrista più.