Il 20 maggio 2020 esce il “Piccolo manuale dello scarabocchista”, di Alberto Nemo.
Dopo aver scritto il “Manifesto della Musica essenziale”, in cui si focalizzano i punti che portano alla nemizzazione, Alberto Nemo prosegue la sua riflessione sul procedimento creativo. In questo percorso a ritroso verso l’origine e la forma primordiale dell’arte, la sua attenzione si ferma sullo scarabocchio infantile. Ne trae una riflessione e un corollario di pensieri che mettono in luce il grande valore simbolico di questo gesto, descrivendolo come il luogo speciale, lo spazio deputato del magico fuoco dell’arte. Il “Piccolo manuale dello scarabocchista” è esso stesso uno scarabocchio, un testo breve con pensieri che si accendono come scintille, pronti a innescare un processo creativo nel lettore. Ritrovare quella dimensione originale è lo scopo di questo breve scritto, fatto apposta per chi non ha tempo e per chi desidera un metodo rapido per riattivare la propria creatività.
Ecco il testo:
Piccolo manuale dello scarabocchista
Tutto ciò che è finito è pronto per la sepoltura.
«Non scarabocchiare!». Quante volte da piccoli è arrivata sulle nostre teste questa frase, ora come consiglio, ora come monito. Ma nessun bambino fa scarabocchi, quei segni rappresentano l’universo che il piccolo ha appena lasciato e nel quale crede ancora di essere. Il paradiso – grembo dove tutto è dato e nulla chiesto. Poi la cacciata (che è un’espulsione) da quella sfera divina è l’inizio del pianto. Finché l’uomo è uno scarabocchio nel grembo materno è felice, non ha che felicità. Quando prende forma è già parzialmente condannato e comincia a dare i primi calci alle pareti, quelle barriere sempre più strette nelle quali non riesce più a muoversi. L’infinito ora è un sacco che lo tiene prigioniero e a un certo punto si apre svuotandolo via. Il bambino appena nato non è più uno scarabocchio, è un bozzetto già definito di ciò che sarà. Il mondo esterno gli apparirà incomprensibile e colmo di brutte sorprese, per questo prenderà una matita e farà uno scarabocchio, il paradiso perduto, chiaro ai suoi occhi che lo vedevano quando erano ancora chiusi. Ora che sono aperti scoprono tanto ma è altro da sé. Resta una galassia di segni tracciati veloci a parlare ancora di gioia, sempre più incomprensibili tanto più il tempo cancella il ricordo e ci si abitua alle barriere, alle ombre, alla macina terrestre che separa tutto ciò che prima era unito. Per questo è necessario segnare i punti che “indefiniscono” la teoria dello scarabocchio e la filosofia dello scarabocchismo, vera mappa giocosa del nostro cercare, per tutta la vita, quella porta segreta nella quale rientrare.
Cos’è uno scarabocchio
Non è ciò che si vede fermo sulla carta, ma l’insieme dei gesti e di ciò che compare.
Non puoi fare un vero scarabocchio se parti con l’idea di farne uno.
È una materia che si muove verso la forma senza mai raggiungerla.
Appare in un tempo che non supera quasi mai il battito di ciglia.
Lo scarabocchio è una simil-azione, un gesto senza finalità.
È semplice, se è troppo elaborato non è uno scarabocchio.
L’origine dello scarabocchio è indefinita come la sua fine.
È un modo di cancellare e di costruire insieme.
È un groviglio attraverso cui sbirciare.
Termina ma non determina.
È approssimazione infinita.
È una scartina geografica.
È una smappa del tesoro.
È materia incandescente.
È uno straneidoscopio.
Si completa all’infinito.
È un nido di passerò.
È un guru ghirigoro.
È finemente sorgivo.
È un soffitto di soffi.
È disconoscimento.
È una in-creazione.
È olio di gomito(lo).
È farina sul sacco.
È metageometria.
È quel che non è.
È un Re minore.
È un di-sogno.
È un Re.
È.
Amici scarabocchi
Praticare l’arte dello scarabocchio porta molti benefici, getta un ponte tra noi e la nostra infanzia e tra essa e le origini stesse dell’umanità.
I segni del bambino trovano una forte similitudine con i graffiti tracciati dagli uomini primitivi. In essi c’è la forza magica del “recinto” dentro il quale si catturano le cose. Con il passare del tempo la traccia si fa sempre più precisa e infine diventa il contorno di una forma riconoscibile. Questa seconda fase, sebbene sia un’evoluzione, porta inevitabilmente con sé la perdita di forza del primitivo scarabocchio che non rappresentava niente, era un laccio stretto intorno al desiderio.
Simbolicamente lo scarabocchio è la volontà di ricostruire lo spazio protetto nel quale tutto era dato, poi diventa la forma del nostro pensiero che cerca di riportare dentro ciò che è scappato.
Lo scarabocchio è il filo sottile che ci unisce al tutto, un nido nel quale ritrovare la nostra pienezza prima della rottura. Una regressione ancestrale che può rinnovarci profondamente.
È ritrovare il senso prima delle parole.
Rovigo, 20-5-2020
Alberto Nemo