Fluido, di piacevole ascolto, questo “Two Worlds”, di Antonio Artese e del suo trio, è caratterizzato da un jazz carezzevole, orecchiabile ma ricco al tempo stesso di spunti originali, frutto evidente della pratica di un jazz contemporaneo supportato da quel bagaglio di conoscenze tecniche e teoriche che non possono che derivare da studi classici. Quasi una colonna sonora, adattabile ad ogni momento e ad ogni circostanza, i brani scorrono e si alternano tra atmosfere oniriche, momenti drammatici, alternanze di ansia e di serenità, nella rappresentazione musicale dei diversi sentimenti che nella vita si avvicendano e si rincorrono generando forti tensioni emotive. Lo scenario musicale su cui si innesta Artese ricalca in tutta evidenza, sia nella formazione che nell’impostazione stilistica, quello che fu delineato dal grande Bill Evans e dal suo trio; le contaminazioni tra le conoscenze classiche e le espressioni jazzistiche ma anche lo stile soft, melodico e intimistico, che furono del grande Bill, si ritrovano oggi in questo suo “Two Worlds” e nella formazione classica del trio – al piano Antonio Artese, Stefano Battaglia al contrabbasso e Alessandro Marzi alla batteria – in cui la struttura ritmica performata dalla batteria e dal contrabbasso, costituiscono supporto indispensabile al tessuto sonoro del pianoforte, che mantiene così più agevolmente il suo ruolo di strumento protagonista. A suo tempo, infatti, fu Bill Evans tra i primi musicisti di pelle bianca con alla base studi classici a praticare il jazz, in un’epoca in cui i jazzisti erano neri e poco più che praticanti. Per questo motivo, in un primo momento, Evans fu osteggiato dalle band dei neri con l’accusa che i bianchi volevano impossessarsi (anche!) della loro musica. Paradossalmente, fu proprio Miles Davis, primo a comprendere le potenzialità e gli sviluppi che avrebbe assunto il jazz allorché contaminato da conoscenze classiche, a difenderlo e a “sdoganarlo”, “imponendo” fermamente, col suo indiscusso carisma e – diciamola tutta – col suo caratteraccio che non ammetteva opposizioni, la collaborazione di Evans ai suoi musicisti neri e aprendo così la porta a scenari stilistici del tutto inediti.
Sette dei nove brani che compongono l’album “Two Worlds” sono frutto della composizione dello stesso Artese, in essi si distinguono grandissima cura e attenzione alle componenti armoniche e melodiche. Alcuni brani si avvalgono della consueta struttura derivante dalla tradizione del blues, e conseguentemente del jazz, ovvero il piano che disegna la traccia di un tema lasciando poi, alternativamente, spazio agli altri strumenti di esprimere un proprio sviluppo armonico e melodico, com’è necessario per mettere opportunamente in luce le ottime capacità espressive degli indispensabili Battaglia e Marzi. I “Due Mondi”, cui si riferisce Artese, potrebbero essere proprio le diverse culture della California, dove ha studiato ed è rimasto per lungo tempo, e dell’Italia, oppure i diversi mondi del jazz e della musica classica che possono incontrarsi felicemente, com’è ben rappresentato nello squisito arrangiamento di Un Bel Dì, tratto dalla Madama Butterfly di Giacomo Puccini. Oppure i due mondi della pace e della guerra: Lila, secondo dei due brani non originali, è un omaggio non casuale alla tradizione ucraina; la ninna nanna, che ha lo scopo precipuo di rasserenare, nell’arrangiamento di Artese è offuscata da toni drammatici nell’introduzione, nell’assolo centrale del contrabbasso di Battaglia e nelle note del finale.
Genere: Contemporary Jazz, Blues, Folk World, Neo Classical
Musicisti:
Antonio Artese, piano
Stefano Battaglia, double bass
Alessandro Marzi, drums
Tracklist:
01. Two Worlds
02. Julita
03. Prelude
04. Hymn
05. Lila
06. Icarus
07. Niente
08. Un bel Dì
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