MARCOVIK, Autore presso Sound Contest https://www.soundcontest.com/author/mar/ Musica e altri linguaggi Wed, 10 Apr 2024 17:08:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.1 VITO SCHIUMA | Un piano solo ispirato a Bukowski https://www.soundcontest.com/vito-schiuma-un-piano-solo-ispirato-a-bukowski/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=vito-schiuma-un-piano-solo-ispirato-a-bukowski Wed, 10 Apr 2024 17:08:28 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=64684 Dinamiche che da un notturno non mi aspetterei. E poi quella contemplazione che invece sa bene regalarmi il senso di un’attesa. “Blue Bird” è il nuovo disco in piano solo di Vito Schiuma, lui che all’America ha chiesto i natali del suo sentire e del suo modo di concepire il suono. Ed ecco che all’America […]

L'articolo VITO SCHIUMA | Un piano solo ispirato a Bukowski proviene da Sound Contest.

]]>
Dinamiche che da un notturno non mi aspetterei. E poi quella contemplazione che invece sa bene regalarmi il senso di un’attesa. “Blue Bird” è il nuovo disco in piano solo di Vito Schiuma, lui che all’America ha chiesto i natali del suo sentire e del suo modo di concepire il suono. Ed ecco che all’America di Charles Bukowski chiede ancora un dono di ispirazione cercando anche di restituire al piano solo anche quella “sporcizia” di vita consumata. E, se posso avventurarmi, con entusiasmo direi che tutto questo ha il dono della sintesi della complessità che abbiamo ogni giorno nel vivere la vita comune…

 

 

C’è tantissima variazione dentro, anche nei respiri più sospesi. Come se dentro cercassi qualcosa… come se il vero obiettivo è cercare e non trovare… che mi dici?

Hai colto nel segno. La musica è l’arte meno palpabile, in connessione direttamente con il nostro inconscio. Trovare equivarrebbe a sedersi su una zattera, non vi sarebbe alcuna certezza. In questo lavoro ho voluto più semplicemente fotografare un periodo compositivo, un po’ come quei selfie che si fanno quando siamo soli e senza un vero motivo. La ragione, in “Blue Bird”, è molto chiara: nessuna composizione merita di essere soffocata proprio perché diretta espressione di quello che viviamo al momento o che pensiamo di vivere.

 

L’improvvisazione? Che ruolo ha avuto?

L’improvvisazione è una tecnica compositiva come altre, in questo caso il ruolo sembra marginale perché limitato a due brani (First Love e Go All the Way), ma nel bilancio complessivo l’importanza è stata elevata. Sapere di poter ricorrere ad un mezzo espressivo estemporaneo libera dalle costrizioni delle note sul pentagramma. Permette, come dicevamo prima, di inseguire un respiro, di rivisitare luoghi con occhi diversi. La parola improvvisazione in italiano ha due accezioni, come nell’animo di questo paese, una negativa e un sinonimo di capacità creativa. Quando si incide un disco l’improvvisazione è meno legata al luogo in cui essa si ingenera e ha un potere più rievocativo. Inoltre, osservando la sequenza dei brani, è chiaro che la presenza imponente di parti improvvisative nell’ultimo brano è una chiara indicazione di quello che sarà.

 

Quanto e in che modo tutto questo si lega all’America dei tuoi esordi?

L’America ancora oggi ha un modo diverso di guardare alla realtà, meno legato al passato, meno incentrato sul formalismo e l’accademismo. Scoprire che è possibile suonare uno strumento di matrice classica con meno attaccamento ai grandi del passato, ma una maggiore focalizzazione verso il sentire ha avuto un impatto notevole su quello che io abbia pensato di poter realizzare nella musica. Lo stesso Bukowski era uno scrittore non interessato al sofismo, alle parole vacue. Oltre a tutto questo, nell’America di quindici anni fa ho imparato che i generi musicali non esistono più e soprattutto che al pubblico non interessano le categorie, tutto ciò mi ha spinto a pubblicare queste composizioni che altrimenti sarebbero rimaste nel cassetto. A livello puramente musicale, l’obiettivo unico e dichiarato di questo EP è suscitare emozioni spostando suoni e silenzi nella testa dell’ascoltatore: un obiettivo tanto ambizioso quanto naïve. Più americano di così!

 

 

E dall’Italia e dal modo di pensare al suono, che cosa hai preso?

L’Italia ha un enorme patrimonio musicale da cui ho provato e provo a prendere più che posso. Non solo nel passato, ma ancora oggi, nella musica contemporanea, l’Italia esprime idee che la distinguono dal resto del mondo, sebbene l’impatto commerciale non sia più quello di un tempo per ovvie ragioni. Al mio Maestro Gianvincenzo Cresta devo tutta la mia concezione di come occupare con i suoni spazio e tempo, dimensioni irripetibili e impalpabili che non devono essere sprecate.

 

E se ti dicessi che in fondo questo è un disco di jazz?

Lo prenderei come un complimento. Vorrebbe dire che nel tentativo di fare altro sono riuscito comunque a far emergere tratti della mia esperienza nella musica improvvisata. Non è la prima volta che mi si fa notare quanto da mie composizioni “scritte” emergano inevitabilmente topoi di natura jazzistica. Io non mi considero propriamente un musicista jazz, ma del resto il jazz questo è: il più grande esempio di commistione musicale di almeno tre continenti. Il musicologo Renzo Cresti mi fece notare quanto le armonie americane fossero irrimediabilmente entrate nel mio linguaggio compositivo e certo non sono il primo a farlo.

 

L'articolo VITO SCHIUMA | Un piano solo ispirato a Bukowski proviene da Sound Contest.

]]>
MASSIMILIANO MARTELLI | Il suono pop della sua rivoluzione https://www.soundcontest.com/massimiliano-martelli-il-suono-pop-della-sua-rivoluzione/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=massimiliano-martelli-il-suono-pop-della-sua-rivoluzione Sat, 23 Mar 2024 09:33:44 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=64519 Eh sì, il deciso scostamento dalla sua storia non è qualcosa che si nasconde dietro dettagli. In questo nuovo disco, Massimiliano Martelli parla di pop e di sonorità main stream, elettroniche e liquide, leggere di una quiete matura e credibile. “Quanto pesa la felicità” ci incuriosisce anche per i suoi aspetti di produzione di cui, […]

L'articolo MASSIMILIANO MARTELLI | Il suono pop della sua rivoluzione proviene da Sound Contest.

]]>
Eh sì, il deciso scostamento dalla sua storia non è qualcosa che si nasconde dietro dettagli. In questo nuovo disco, Massimiliano Martelli parla di pop e di sonorità main stream, elettroniche e liquide, leggere di una quiete matura e credibile. “Quanto pesa la felicità” ci incuriosisce anche per i suoi aspetti di produzione di cui, come nostro solito, chiederemo conto per indagare da vicino l’anima di qualcosa che, soltanto all’apparenza, sembra davvero figlio di una massificazione espressiva. È la vita che, a forza di venir consumata, regala anche la saggezza di pesare di meno.

 

Parliamo di produzione. I suoni di questo disco virano molto verso una scena indi metropolitana… cosa ne dici?
Beh, sì, se cominciamo proprio col dire che sentivo io l’esigenza, il bisogno, di realizzare un disco che fosse caratterizzato da sonorità e soluzioni musicali diverse dai miei precedenti lavori, pur mantenendo la mia cifra stilistica e identità cantautoriale. E per arrivare a questo è stato fondamentale e prezioso il lavoro di produzione di Maurizio Mariani, con il quale ho cercato di coniugare da una parte il mondo acustico della chitarra e dall’altro il suono in parte digitale degli arrangiamenti e della forma canzone.

 

Come li hai scelti i suoni e in che direzione puntavi?

In parte come ho già risposto, c’era appunto un desiderio di cimentarmi con scelte, groove e sound “diversi ma non troppo” da quelli a cui ero abituato nel mio lavoro di autore e compositore. Sperimentare sonorità che in parte strizzassero l’occhio anche a richiami di una certa “new wave”. Ma non è stato questo solo un discorso di suono del disco, anzi. C’è stato anche da parte mia un importante lavoro “di sintesi” per i testi di ogni brano: una forma più asciutta e concisa rispetto ai testi abbastanza serrati che ero solito scrivere. Questo proprio per permettere all’ascoltatore di concentrarsi e “respirare” su ogni parola scritta e cantata.  Anche perché era una mia precisa intenzione nel disco quella di “non dimostrare” nulla o di lasciar “scoprire” tutto all’ascoltatore, lasciando un po’ come “sospesi” concetti e significati, tra un detto e un non detto, dare uno spunto per riflessioni e risposte a ognuno sulla base delle proprie esperienze di vita, associandone così un tempo, un peso ed uno spazio personali.

Alcuni suoni come dentro l’ultima traccia “Mezze verità e acqua tonica” li hai voluti distorti. Anche la tua voce: che racchiude questa scelta?

L’uso di suoni distorti e timbro di voce artefatto, quasi robotico, è nato per evidenziare che questo disco è comunque figlio di un tempo, il nostro, dove è sempre più difficile e complicata la comunicazione fra le persone. Io vengo da un passato lavorativo lungo oltre vent’anni svolto nel sociale, come assistente domiciliare, educatore e operatore sociosanitario al servizio di persone fragili in contesti difficili e scuole delle periferie della mia città, Roma. Quindi l’aspetto “umano” dei rapporti e sentimenti è stato sempre il focus, il cuore, il centro di ogni mio pensiero e azione, lavorativi e non… Ma in questi anni purtroppo ho visto sempre più assottigliarsi tempo e disponibilità al dialogo, all’incontro con l’altro, alla gestione dei conflitti, delle differenze e delle divisioni. E il tutto è cornice di questa difficoltà di vivere sempre di corsa per i tempi che detta questa società che non ammette errori e non di rado ci vuole vendere o trasmettere un’idea “vincente” di felicità legata più all’aspetto materiale del benessere, della realizzazione personale, dove si fatica sempre più ad ascoltare il proprio corpo che respira, il cuore che batte… Un po’ come dei robot.

Da qui, dunque, ho provato a “giocare” la carta di raccontare emozioni, sensazioni, sentimenti “umani” con suoni “non umani”.

 

E la chitarra acustica che campeggia in copertina?

Principalmente ci sono due motivazioni: la prima è una sorta di omaggio, ringraziamento, a questo strumento con il quale da adolescente ho iniziato ad approcciarmi alla musica “suonata. La seconda, più pertinente al disco, è quella che al di là delle scelte di composizione e arrangiamento presenti, arrivasse dritto il messaggio che già dalla copertina la chitarra acustica avrebbe comunque avuto un ruolo centrale nel suono complessivo delle canzoni, come riscontrabile già nell’ascolto di “Starò bene”, brano che apre il disco, dove un riff acustico ostinato fa da tappeto per buona parte della durata del pezzo.

 

Un Ep che apre le porte ad un disco di inediti

Sicuramente l’intenzione c’è da parte mia, ma intanto coi miei musicisti ci stiamo concentrando più sull’aspetto live, cercando di portare in giro e suonare il più possibile questo nuovo lavoro e parte del mio repertorio musicale meno recente.

 

L'articolo MASSIMILIANO MARTELLI | Il suono pop della sua rivoluzione proviene da Sound Contest.

]]>
IL BARONE LAMBERTO | L’arte di sempre nel tempo nuovo https://www.soundcontest.com/il-barone-lamberto-larte-di-sempre-nel-tempo-nuovo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-barone-lamberto-larte-di-sempre-nel-tempo-nuovo Wed, 07 Feb 2024 10:28:50 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=63840 Lo trovo coerente e intelligente quando ci rivela che in fondo bisogna accettarli e saperci star dentro a questi nuovi tempi che viviamo piuttosto che star lì a frenarne l’avanzata… se mi si concede la sintesi. Insomma, Il Barone Lamberto dimostra tutto questo con un disco ormai già “passato” come il suo ultimo lavoro dal […]

L'articolo IL BARONE LAMBERTO | L’arte di sempre nel tempo nuovo proviene da Sound Contest.

]]>
Lo trovo coerente e intelligente quando ci rivela che in fondo bisogna accettarli e saperci star dentro a questi nuovi tempi che viviamo piuttosto che star lì a frenarne l’avanzata… se mi si concede la sintesi. Insomma, Il Barone Lamberto dimostra tutto questo con un disco ormai già “passato” come il suo ultimo lavoro dal titolo “Bravo” che non deve smettere di suonare: moderno e attuale per quanto siano classiche le forme di rap e le forme di pop. Ma il suono quello sì che smette di avere ancore e ragnatele, smette di essere dissacrante e non offende il futuro dall’alto di chissà quale vita… ma non rinnega il passato in nome di un cambiamento ancora di là da venire.

 

 

Noi parliamo molto di produzione e questo disco, come spesso capita nelle tue pubblicazioni, sfoggia una produzione davvero importante. Partiamo da qui: come ci hai lavorato?

Autonomamente, come faccio da anni ormai. Lo trovo molto più stimolante. In passato mi sono avvalso del lavoro di studi prestigiosi e in qualche caso anche di musicisti di livello.

Ora che le nuove tecnologie ci permettono di ottenere ottimi risultati nel campo delle autoproduzioni io ho trovato grande soddisfazione nel creare da zero le mie produzioni musicali.

Se mi manca uno strumento provo a replicarlo con uno virtual. Se voglio un giro di chitarra ne imbraccio una e faccio del mio meglio per tirare fuori qualcosa che mi soddisfi anziché chiedere l’aiuto di un chitarrista esperto. Questo è il mio modo di lavorare, chiaramente se cerco un particolare virtuosismo o un suono molto caratteristico cerco un collaboratore, ma in linea di massima le mie produzioni cominciano e finiscono con me davanti ad un computer, una tastiera e un microfono nella mia stanzetta.

Oggi la tecnologia viene in soccorso: per te è un plus o una forma di schiavitù? In fondo “Bravo” ricerca anche una verità “analogica” della vita… in “Zenith” lo dici chiaramente…

Forse a questa domanda ti ho già risposto, ma provo ad approfondire. Per me la tecnologia, in campo musicale e non, è assolutamente un plus ma solo se si parla di “aiuto”.

Trovo che abbia senso ricorrere ad essa quando stimola la creatività o quando velocizza dei passaggi obbligati che in passato richiedevano molto più tempo e molti più soldi. Un approccio analogico, secondo me, deve stare alla base di un utilizzo consapevole e profittevole della tecnologia.

 

 

Che poi la copertina è una vera e propria bandiera del passato… in antitesi col suono che è figlio dei tempi moderni. Come la leggiamo questa apparente contraddizione?

In realtà non è una contraddizione. Trovo che il passato, se lo si guarda con occhio clinico, celi il potenziale di quello che è il presente o che potrebbe essere il futuro.

Mi piace questa foto proprio perché sembra che sapessi già come sarei diventato in seguito. Sia umanamente che intellettualmente nonostante, all’epoca, fossi una persona molto diversa. Noi siamo il nostro passato ma anche il nostro futuro e a volte guardare vecchie foto può spiegarcelo meglio di qualsiasi seduta psicoterapeutica.

 

Dal vivo il suono di “Bravo” come viene codificato? Sei di quegli artisti che ricercano una dimensione quanto più coincidente col disco oppure sei ben aperto a variazioni sul tema?

Dipende molto dal pezzo e dal mio “mood”. Alcune volte preferisco restare fedele al materiale originale, altre volte stravolgerlo ma soprattutto, per quanto riguarda il live, mi fido

moltissimo del gusto e dell’intuito dei musicisti che suonano con me. Se è vero che nella produzione sono un self-made-man, è altrettanto vero che nel live mi affido completamente ai miei musicisti e collaboratori. Se loro ritengono che un brano suoni meglio in un modo piuttosto che un altro allora li assecondo volentieri. Considero il live come qualcosa che va parallelamente ad un album ma a differenza sua deve essere soggetto a continui cambiamenti. Infondo è proprio lì che c’è la “vita vera”!

 

Sempre più social e sempre più liquido e rapido il modo di ascoltare il suono. Allora chiedo: perché tanto sforzo nella produzione quando poi ascoltiamo la musica nei cellulari (se pure)?

Ti confido un piccolo segreto (di Pulcinella), uno degli ascolti fondamentali che faccio durante la fase produzione è proprio quello sullo smartphone. Ahimè, anch’io ascolto musica prevalentemente da cellulare. Negli anni ho potuto appurare che quando il pezzo suona bene lì, allora è molto probabile che suoni bene anche dentro un mega impianto. Dicendo questo so di attirarmi le ire e lo sdegno di tanti professionisti del suono che si sparerebbero un colpo in testa piuttosto che ascoltarsi “The Dark Side Of The Moon” da cellulare ma il mio primo e ultimo obiettivo è quello di arrivare alla gente, di comunicare. Se la maggior parte delle forme d’arte oggi passano per uno smartphone a me sta benissimo. Non per questo si può prescindere dal curare quei contenuti nei minimi dettagli, anzi bisogna porre ancor più attenzione.

Questa è la mia filosofia!

L'articolo IL BARONE LAMBERTO | L’arte di sempre nel tempo nuovo proviene da Sound Contest.

]]>
CLASSICA ORCHESTRA AFROBEAT | Il jazz che fa il giro del mondo https://www.soundcontest.com/classica-orchestra-afrobeat-il-jazz-che-fa-il-giro-del-mondo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=classica-orchestra-afrobeat-il-jazz-che-fa-il-giro-del-mondo Sun, 21 Jan 2024 18:33:49 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=63647 Un disco come “Circles” promette di tornare all’uomo e alla sua origine spirituale. Promette e ci riesce dentro i ricami di suoni acustici e ancestrali che arrivano spesso da zone del mondo lontane anni luce. Marco Zanotti e il suo collettivo apolide ha fatto un lavoro magistrale in questo disco che ospita anche la preziosa […]

L'articolo CLASSICA ORCHESTRA AFROBEAT | Il jazz che fa il giro del mondo proviene da Sound Contest.

]]>
Un disco come “Circles” promette di tornare all’uomo e alla sua origine spirituale. Promette e ci riesce dentro i ricami di suoni acustici e ancestrali che arrivano spesso da zone del mondo lontane anni luce. Marco Zanotti e il suo collettivo apolide ha fatto un lavoro magistrale in questo disco che ospita anche la preziosa voce di Rokia Traoré, una delle più importanti artiste africane nel brano “Ka munu munu”. E poi strumenti antichi, tradizioni, scritture perdute nel tempo e nella distrazioni dell’industrializzazione potente… si torna anche alla ritualità, lo dicono le percussioni di Zanotti, lo dice una certa scrittura che al Jazz chiede moltissimo. “Circles” è un disco da esperire in silenzio…

 

Un disco che culla il concetto della diversità. Non solo altre culture ma anche altro modo di pensare al suono e alla forma. Che parte di mondo avete esplorato per questo lavoro?
Pur non essendo un lavoro specifico su una tradizione musicale o un’area geografica, ci sono alcuni riferimenti sonori e musicali più appariscenti. Ad esempio l’uso dei lamellofoni come la mbira e la sanza ci porta ad una musica circolare presente in varie tradizioni dell’Africa Centrale e Meridionale, soprattutto in Zimbabwe, da cui proviene l’unico brano dell’album non nostro. E poi ci sono i sabar degli Wolof del Senegal, qualche accenno alla musica copta etiope nel brano che parla del massacro di Debra Libanos, i gnawa del Marocco del sud, eccetera.

 

 

Registrazione e produzione? Avete usato tecniche e strumenti che arrivano da quelle culture?

In parte si, ad esempio le mbire e le sanze, per il resto la cifra stilistica della COA resta il suono dell’orchestra da camera, con archi, legni e con il clavicembalo che dà una connotazione barocca. Il più possibile registrati in ensemble, grazie alle maestria di Andrea Scardovi, deux ex machina di tutti i nostri lavori. Poi c’è un intruso: uno strumento elettroacustico creato da un artigiano sardo, Massimo Olla, che usiamo in vari brani di Circles, assemblato con molle e barre filettate. Tanto per restare in tema metallo e upcycle…

Il risultato lo trovo molto occidentalizzato se mi concedi il termine. La pasta sonora sembra accomodarsi nelle abitudini moderne. O sbaglio?

È sicuramente un ibrido, per certi versi è l’album meno “africano” che abbiamo registrato, ma attenzione a non cadere nella vecchia ed imperitura logica coloniale: l’Africa ha un movimento afrofuturista e d’avanguardia di tutto rispetto, da cui l’Occidente prende a piene mani. Che cosa resterebbe delle “abitudini occidentali moderne” se togliessimo l’influenza secolare dell’arte africana? Penso al jazz, al minimalismo, alla tecnho e alla trap.

Se è vero che il concetto di circolarità è universale e trasversale è altrettanto vero che in Africa resistono più che in altre parti del mondo quelle dinamiche circolari che si applicano sia alla musica che alla vita sociale o alla filosofia.

Dal 15 al 21 gennaio Marco Zanotti è anche ospite del programma radiofonico Trans Europe Express a cura di Paolo Tocco.

Eccovi la chiacchierata (solo voce) disponibile da oggi su Spotify

 

Il vinile invece? Che rapporto ha questa musica, la vostra musica con questo supporto?

Il vinile è tondo e gira! A parte le battute, io personalmente sono un vinilofilo da sempre soprattutto per un motivo: quando ascolti un LP ti prendi il tempo per farlo, c’è una sorta di rispetto verso quello che il vinile rappresenta, cioè la musica ed il lavoro che ci sta dietro. In antitesi alla musica da sottofondo, quella delle playlist di Spotify.

E poi anche Spotify e il futuro… anche questo passaggio non me lo sarei atteso…

In che senso? Intendi il fatto che i nostri album si trovano anche su Spotify? Lo so, è un argomento spigoloso ma considera che già è difficile farci notare, in un paese ai margini della world music e per di più senza finanziamenti nè sponsor. La distribuzione digitale non è quasi mai giusta nel riconoscere all’artista il suo lavoro ma ormai è indispensabile se non vuoi definitivamente sparire dai radar. In ogni caso, non siamo certo noi che foraggiamo quel sistema… Il futuro? E dove vogliamo guardare altrimenti? Chiediamolo ai ragazzi di oggi.

 

L'articolo CLASSICA ORCHESTRA AFROBEAT | Il jazz che fa il giro del mondo proviene da Sound Contest.

]]>
FAT HONEY | E’ tutto “Grasso che cola” https://www.soundcontest.com/fat-honey-e-tutto-grasso-che-cola/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=fat-honey-e-tutto-grasso-che-cola Sat, 13 Jan 2024 11:35:28 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=63531 Alla frontiera solo tanta gustosa e imprevedibile contaminazione. Il jazz incontra l’elettronica e assieme fanno bisboccia con quel modo trap e rap di pensare alla narrazione, tra sfoghi metropolitani e un sax che avvolge di eleganza e di trasgressione. Sono i Fat Honey e questo lavoro dal titolo “Grasso che cola” sfoggia un giallo acceso, […]

L'articolo FAT HONEY | E’ tutto “Grasso che cola” proviene da Sound Contest.

]]>
Alla frontiera solo tanta gustosa e imprevedibile contaminazione. Il jazz incontra l’elettronica e assieme fanno bisboccia con quel modo trap e rap di pensare alla narrazione, tra sfoghi metropolitani e un sax che avvolge di eleganza e di trasgressione. Sono i Fat Honey e questo lavoro dal titolo “Grasso che cola” sfoggia un giallo acceso, tra la dolcezza del miele e le eccentriche trovate shocking già dall’immagine che ci regalano, figuriamoci nel suono. Adolescenti mai cresciuti o forse molto più che adulti nel saper prendere la vita con scanzonata leggerezza e ironia dissacrante alla base. Il tutto in un suono principalmente live che sembra essere una prosecuzione moderna di quel filone che il buon Davis aveva ampiamente sdoganato. Anche se, a detta loro, le radici sono altre…

 

 

Disco impegnativo, arrangiamenti davvero in bilico tra jazz e futuro. Quanto spazio ha l’improvvisazione?

Grazie! L’improvvisazione conta molto per quanto riguarda il sassofono e, in generale, la fase compositiva, poi tendiamo a strutturare il tutto. Abbiamo studiato il jazz, è la nostra formazione “scolastica”, almeno per qualcuno di noi, e ci piace lasciare un margine di imprevisto, di – appunto – improvvisazione in quello che facciamo.

E che tipo di jazz entra dentro questa produzione?

Quello più contaminato dal funk e dal soul, e quello che sta in un certo tipo di musica hip-hop. Parlando di “jazz” ci piace Chris Potter, Dave Holland, Thelonious Monk…

La voce è anche protagonista di un bel lavoro di mix o sbaglio? Perché questa dimensione “megafonica”?

È una scelta del sapiente Poddighe Studio, a cui ci siamo rivolti per questa prima nostra produzione.

E il funk anni ’80 ha anche un ruolo soprattutto nei suoni di basso o sbaglio?

Questo perché il funk scorre potente in Mr. B. Un riferimento, fra i tanti, è Bootsy e la P-Funk.

Il gioco nelle liriche, prendersi gioco del sistema, dei modi di dire… prendersi gioco è un punto centrale?

Se ci fossimo presi troppo sul serio non saremmo arrivati fino a qui. Scherzi a parte, Gnocchi e Teocoli.

L'articolo FAT HONEY | E’ tutto “Grasso che cola” proviene da Sound Contest.

]]>
BEPPE CUNICO | Il nuovo disco è “From Now On” https://www.soundcontest.com/beppe-cunico-il-nuovo-disco-e-from-now-on/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=beppe-cunico-il-nuovo-disco-e-from-now-on Tue, 19 Dec 2023 11:00:32 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=63251 Decisamente un ritorno in scena che in qualche modo sa incuriosire sin dalle prime battute, sin dai primi video rilasciati in rete ad anticipare tutto il lavoro. Che poi lo conosciamo bene Beppe Cunico, conosciamo questo mondo che dal progressive al pop abbraccia un bel ritorno agli anni ’70 e questa volta devo dire che […]

L'articolo BEPPE CUNICO | Il nuovo disco è “From Now On” proviene da Sound Contest.

]]>
Decisamente un ritorno in scena che in qualche modo sa incuriosire sin dalle prime battute, sin dai primi video rilasciati in rete ad anticipare tutto il lavoro. Che poi lo conosciamo bene Beppe Cunico, conosciamo questo mondo che dal progressive al pop abbraccia un bel ritorno agli anni ’70 e questa volta devo dire che il suono si rende assai più contemporaneo e decisamente solenne. “From Now On” è un disco imperioso che punta dritto alla speranza, alla serenità, al ricongiungersi umano e spirituale prima di tutto con se stessi e poi con la vita e con gli altri. Non distopico il futuro, ma di nuove rinascite. La chitarra protagonista colorata da certezze ritmiche e da arrangiamenti davvero internazionali.

 

Produzione che fa un salto in avanti rispetto all’esordio. La prima cosa che è cambiata?
Progettualità chiara fin dall’inizio e maggior esperienza nella scrittura. Il disco ha preso forma nella sua interezza dentro la mia testa e l’ho sviluppato.

In questi pochissimi anni in realtà sono tante le tecnologie e le mode ad essere state rivoluzionate. Tutto questo come ha lavorato sulle scelte di questo disco?

Il concept del nuovo album si basa su una personale interpretazione della lotta tra il bene Mian (amore, amicizia, altruismo, difesa del bene comune, tutela dell’ambiente) e il male Egon (egoismo, avidità, cinismo, odio) e quindi cerco di gridare al mondo, con parole e musica, il pericolo e la necessità di risvegliarsi e di contrastare molte delle nuove tendenze e stereotipi dannosi, con la speranza di un futuro migliore per le nuove generazioni. Senza lasciarmi influenzare dalle mode del momento, ho lasciato la mia creatività scatenarsi.

 

 

E dal passato prendi sempre quel gusto progressivo ed epico del rock. Hai pensato anche di scollarti da tutto questo? Ci sono citazioni o momenti di questo genere lungo l’ascolto?

La mia composizione prende sicuramente dal passato. Nel primo album “Passion,Love,Heart&Soul”, si sentono molto i 70’,mentre in “From Now On” sono più ‘80 oriented. Sono le decadi musicali che ho vissuto intensamente e saranno sempre al mio fianco. Ho una scrittura molto istintiva e dettata dalle mie limitate capacità come strumentista. Ma sicuramente crescendo da questo punto di vista, in futuro le mie nuove canzoni si evolveranno verso nuovi orizzonti, per il momento sentire Peter Gabriel o Tears For Fears o Steven Wilson in alcuni passaggi è normale…

 

Torni anche ad un video in animazione… bellissimo. Ce lo racconti?

Grazie a Federico Amata, che ha realizzato le tavole e Nicola Elipanni le animazioni, ho voluto evidenziare fin da subito le tematiche del disco. Il grigiore che sta avanzando per portarci ad un futuro distopico, causato da quel manipolo di poche persone avide, corrotte, egoiste che purtroppo governano il mondo e che, ad un certo punto, si rendono conto di aver perso le cose importanti della vita e cercano così un riscatto per lasciare una speranza di vita migliore. E da qui in poi parte il viaggio di Mian, che dopo la sua rinascita, parte alla scoperta del mondo nascosto di gente con i piedi per terra, che vuole ribellarsi a tutto ciò, che vuole combattere la logica del dare la colpa agli altri per sfuggire alle proprie responsabilità, che non vuole più sottostare alla competizione ad ogni costo.

 

Dunque un disco di speranza e non di “fine del mondo”… cosa vedi nel futuro?

Io sono positivo di natura e ho sempre fiducia che la razza umana sia capace di grandi cose. Nonostante i segnali siano molto preoccupanti, io, nel mio piccolo, cerco di fare la mia parte per sovvertire le sorti del mondo, stimolando e sensibilizzando. La musica vera può e deve essere un potente mezzo di comunicazione, di messaggi costruttivi. La storia è costellata da grandi esempi di civiltà promulgati attraverso la Musica.

L'articolo BEPPE CUNICO | Il nuovo disco è “From Now On” proviene da Sound Contest.

]]>
HUMBLE | Girando il mondo, contaminandosi di libertà https://www.soundcontest.com/humble-girando-il-mondo-contaminandosi-di-liberta/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=humble-girando-il-mondo-contaminandosi-di-liberta Mon, 11 Dec 2023 14:27:24 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=63169 Facciamo il giro del mondo a bordo del futuro, il futuro della tecnica che tanto si aggrappa a stilemi passati o, per meglio dire, classici. Quella tecnica che oggi ci porta in fuga altrove stando comodamente seduti sul divano di casa. Sono gli Humble, progetto di nuova vita a firma di Umberto De Candia e […]

L'articolo HUMBLE | Girando il mondo, contaminandosi di libertà proviene da Sound Contest.

]]>
Facciamo il giro del mondo a bordo del futuro, il futuro della tecnica che tanto si aggrappa a stilemi passati o, per meglio dire, classici. Quella tecnica che oggi ci porta in fuga altrove stando comodamente seduti sul divano di casa. Sono gli Humble, progetto di nuova vita a firma di Umberto De Candia e Enrico Zurma. Un primo disco che punta subito in alto: “Gateway” che è contaminazione pura e più di tutto è libertà espressiva di genere e di forma. Dal funk al jazz, all’elettronica che cerca il pop fin dentro le soluzioni esotiche. E si fa il giro del mondo… o forse solo di una parte di mondo. Il risultato è che questo disco è assai prezioso e non vale l’attenzione scarna che spesso si dà alle produzioni d’esordio…

 

 

Bellissima produzione, complimenti. Suono suonato… che di tanto in tanto si rifugia dentro soluzioni digitali o sbaglio?

Umberto: credo che il nostro progetto non sarebbe potuto esistere senza il digitale. Ci ha dato la possibilità di poterci esprimere senza pensare ad alcuni costi e ha fatto la differenza.

Enrico: il digitale è ormai un grande strumento per poter produrre musica per chi non può permettersi ore di registrazione prenotate in studio.

Ormai anche a casa informandosi sulle cose giuste e sperimentando si può fare veramente molto (vedi Billie Eilish e Finneas).

 

Calandoci nel dettaglio, come ci avete lavorato? Quanta produzione è stata misurata in modo artigianale e quanto spazio avete lasciato all’improvvisazione?

Umberto: qualcosa di improvvisato c’è, soprattutto ai primi stadi di scrittura, ma “Gateway” è comunque il frutto di 2 anni di lavoro parecchio intensi in cui abbiamo lasciato poco al caso.

Enrico: di improvvisato ci sono le idee che abbiamo lasciato fluire, quando magari ci eravamo prefissati una direzione a livello di giro di accordi o di melodia, a volte il momento porta nella direzione giusta in poco tempo confronto ad una mossa studiata da giorni.

 

 

Nella scrittura come avete abbracciato tanti stili diversi? Siete andati di istinto oppure avete ben misurato le parti?

Umberto: io ed Enrico abbiamo suonato talmente tanto insieme in questi anni da esplorare diversi generi, crescendoci e studiandoli negli anni. I vari generi toccati sono un sunto di dove siamo arrivati finora

Enrico: certi brani vengono da mie forti preferenze musicali, altri ho abbracciato la sfida di provare ad addentrarmi in percorsi nuovi, anche sbattendo la testa più volte.

 

Nello specifico mi incuriosisce sentire come dentro uno stesso disco c’è un pezzo come “Chicago” e poi “Venezia”. Quest’ultimo è davvero ancora agli anni ’50… vero?

Umberto: io volevo essere come Sam Cooke. Forse si é sentito troppo.

Enrico: colpa di Umberto, io sono andato per John Mayer.

 

Citazioni di stile? Radici e ispirazioni? Una panoramica di questo disco così multi-etnico?

Umberto: mi fa sorridere come ognuno ci veda dentro stili, cantanti ed artisti diversi, di brano in brano, io ho avuto ispirazioni precise che qualcuno ha indovinato (Timberlake, Usher, Bruno Mars per le parti cantate e molto hip hop anni 90 per le parti più rap), ma mi piace tantissimo sapere cosa ci hanno sentito gli altri.

Enrico: le radici sono la discomusic, principalmente Nile Rodgers, l’ispirazione è Tom Misch, il neo soul combinato a moltre altre cose, funk, hip-hop, strutture jazz e anche qualcosa di pop per certi versi.

L'articolo HUMBLE | Girando il mondo, contaminandosi di libertà proviene da Sound Contest.

]]>
UNKLE KOOK | Il suono randagio, eclettico, psichedelico, d’autore https://www.soundcontest.com/unkle-kook-il-suono-randagio-eclettico-psichedelico-dautore/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=unkle-kook-il-suono-randagio-eclettico-psichedelico-dautore Tue, 31 Oct 2023 08:07:36 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=62685 Un disco come “Coming in Bunches” coglie l’attenzione sin da subito. Sembra un gioco, un esperimento di scena, poi sembra un esercizio di stile retrò, un contenitore dentro cui fare ricerca e sperimentare sensazioni. Il rock’n’roll poi il surf ma anche gocce di psichedelia e scenari distopici. Un disco in presa diretta per gli Unkle […]

L'articolo UNKLE KOOK | Il suono randagio, eclettico, psichedelico, d’autore proviene da Sound Contest.

]]>
Un disco come “Coming in Bunches” coglie l’attenzione sin da subito. Sembra un gioco, un esperimento di scena, poi sembra un esercizio di stile retrò, un contenitore dentro cui fare ricerca e sperimentare sensazioni. Il rock’n’roll poi il surf ma anche gocce di psichedelia e scenari distopici. Un disco in presa diretta per gli Unkle Kook, un disco analogico, su nastro, di pancia e di mani come dice la didascalia.

 

 

Partiamo dalla produzione. In presa diretta, radici di antichi modi… il suono suonato. Un manifesto contro il progresso?

Assolutamente no, non credo sia il progresso una connotazione creativa. Al massimo sono gli strumenti del progresso che possono essere sfruttati a fini creativi ma credo che al rock‘n‘roll bastino suoni con una ricchezza armonica che ha raggiunto il suo apice di progresso e non è ancora stato superato. Si pensi alla chitarra elettrica, sono i chitarristi che la fanno progredire, basti pensare che spesso si prediligono strumenti vecchi di cinquant’anni proprio per le caratteristiche sonore.

E dunque in questa presa diretta avete mai lasciato l’imperfezione a testimoniare l’umanità in luogo di correzioni che oggi si fanno con un click?

Nel disco ci sono molte imperfezioni che compongono i brani, Rango ne è un esempio visto che per le caratteristiche espressive non si usa il click (del metronomo in questo caso).

Dal surf a certi origami dai Balcani. Il rock su tutto in varie salse. Dall’Italia?

Dall’Italia al momento nessuna convocazione ma stiamo facendo amicizia.

E poi il contributo di psichedelia non manca… la copertina prima di tutto. Come la leggiamo?

Un deserto libero da ogni essere vivente. Le lucertole sono l’unico essere sopravvissuto ad una catastrofe. Chissà che non riescano a fare meglio dell’essere umano.

E dopo tutto questo tempo non ancora troviamo un video ufficiale… un disco simile ha un forte potere visionario però… ci state pensando?

Certamente ci stiamo pensando, ci siamo infilati in idee pretenziose. Questione di tempo…

L'articolo UNKLE KOOK | Il suono randagio, eclettico, psichedelico, d’autore proviene da Sound Contest.

]]>
OUT OF THE BLUE | Un disco di storia, di contaminazione, di donne leggendarie https://www.soundcontest.com/out-of-the-blue-un-disco-di-storia-di-contaminazione-di-donne-leggendarie/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=out-of-the-blue-un-disco-di-storia-di-contaminazione-di-donne-leggendarie Mon, 16 Oct 2023 10:12:23 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=62459 L’idea di questo disco dal titolo “Pirate Queens” è geniale quanto coraggiosa: il famoso producer Giovanni Pollastri incontra la voce della cantante americana Annie Saltzman Pini e i due, sotto la firma di Out of the Blue, danno i natali ad un disco dal suono ricco di maestosità visionaria che dalle allegorie celtiche si spostano […]

L'articolo OUT OF THE BLUE | Un disco di storia, di contaminazione, di donne leggendarie proviene da Sound Contest.

]]>
L’idea di questo disco dal titolo “Pirate Queens” è geniale quanto coraggiosa: il famoso producer Giovanni Pollastri incontra la voce della cantante americana Annie Saltzman Pini e i due, sotto la firma di Out of the Blue, danno i natali ad un disco dal suono ricco di maestosità visionaria che dalle allegorie celtiche si spostano con naturalezza dentro il rock più metropolitano. Da Tim Buckley di “Song to the Siren” alle volute dei This Mortal Coin… e da qui poi la lista si farebbe troppo lunga per poterla arginare con poco. Canzoni inedite che parlano delle storiche e leggendarie piratesse vissute non solo sui libri di storia o dentro le pellicole di Hollywood. C’è la storia dentro questo disco… quella vera…

 

 

Un’idea originale certamente e assai potente negli obiettivi. Come nasce? Anzi perché?

Giovanni: Nasce dall’ascolto di un album dedicato ai pirati intitolato “Rogue Gallery”, prodotto da Johnny Depp e Gore Verbinsky, il regista dei primi film dei “Pirati dei Caraibi”. Ci sono i cosiddetti “sea shanties”, ossia canti del mare e traditionals del mondo piratesco reinterpretati da grandi artisti come Bono, Nick Cave, Sting, Brian Ferry e molti altri. Ci sono anche cantanti donne, come Lucinda Williams ad esempio, e mi sono chiesto se stessero cantando di piratesse. Non era così, per cui ho pensato di farlo io e di chiedere a Annie, con cui avevo già lavorato in passato, se fosse interessata a lavorarci.

Annie: Quando ho ricevuto la telefonata di Giovanni, ero “on the dock of the bay” vicino a Boston, proprio nelle vicinanze di un museo dedicato ai pirati. Ho subito cercato un libro dedicato alle donne pirata, soprannominate “Pirate Queens”, e da lì ho iniziato il mio viaggio alla scoperta di grandi donne quasi sconosciute, ma che hanno lasciato un marchio indelebile nella storia della pirateria e, al tempo stesso, nella storia dell’emancipazione delle donne.

 

Esistono piratesse rimaste fuori dall’elenco? Come le avete scelte, fatta eccezione di quel “paio” davvero celebri?

Annie: Le abbiamo scelte in base alle loro storie, accattivanti e curiose al tempo stesso. In alcuni casi è stato facile portare in musica la vita di alcune di loro, in altri casi invece particolarmente complicato. Sayyda Al Hurra, ad esempio, piratessa molto conosciuta nel mondo arabo, è stato un vero grattacapo, ma volevamo fortemente averla presente nell’album per il suo ruolo di donna in un ambiente particolarmente difficile in cui emergere. È stata dura ma siamo riusciti a trovare una formula musicale e lirica – una parte è cantata in arabo-marocchino – e ne siamo fieri.

 

Il suono e gli arrangiamenti: ogni canzone, ogni “biografia” ha determinato il suono e la forma o le cose sono slegate?

Giovanni: Inizialmente non avevo intenzione in particolar modo di contestualizzare il suono e gli arrangiamenti nei confronti della storia raccontata, poi però mi sono quasi istintivamente trovato a dare comunque una sorta di ambientazione sonora, per cui mi sono reso conto che stavo scrivendo la colonna sonora della vita di ogni piratessa. Oltre agli strumenti veri e propri, ossia chitarra, basso, percussioni, piano, violino, mandolino e altri strumenti necessari all’arrangiamento, ho usato anche catene, spade, boccali di ruhm, rumori di spari, cannoni, suoni della natura come onde, gocce d’acqua e altro ancora per creare una vera e propria atmosfera tipica del mondo in cui la piratessa raccontata ha vissuto.

 

Dal duo al disco: chi ha messo le mani al suono che sentiamo?

Giovanni: Io di solito lavoro alle musiche e alla registrazione di tutti gli strumenti (in questo album abbiamo comunque alcuni ospiti: Peppe Giannuzzi al violino, Simona Giacomazzo all’organetto in “Lady Mary Killigrew”, e Bruno Saitta alle percussioni in “Anne Bonny”). Mi sono occupato anche degli arrangiamenti e della produzione.

Annie: Io mi occupo dei testi e delle melodie, ma spesso ci scambiamo i ruoli per cui io intervengo sulle musiche e Giovanni sui testi e sulle melodie. Lavoriamo molto bene insieme da parecchi anni, abbiamo una sinergia molto rara e in tutti questi anni abbiamo sempre lavorato con molto entusiasmo e armonia.

 

Disco che tra l’altro inizia ad avere il suo tempo: col senno di poi cosa avete raccolto? Il pubblico è stato curioso di scoprire che infondo il pirata non è solo uomo?

Annie: Certamente. Sono stati tutti molto sorpresi di scoprire non solo che sono esistite le ‘Pirate Queens’, ossia le donne pirata, ma che erano anche delle “badass women”, ossia donne “con gli attributi”! Non a caso sono proprio riuscite a conquistare la famigerata uguaglianza dimostrando di essere allo stesso livello degli uomini, non solo a bordo delle navi, mentre noi siamo riusciti a conquistare il nostro pubblico, sia con la musica che con i testi, ma soprattutto con la passione nel raccontare la vita delle piratesse presenti nel nostro album.

Giovanni: “Pirate Queens” è uscito l’8 Marzo, appositamente per la celebrazione della donna. Ogni anno possiamo quindi riproporre il nostro album, come se fosse ‘senza tempo’, ma che puntualmente potrebbe essere riproposto proprio per la sua caratteristica dedicata alla figura femminile e al suo ruolo nella società, sia passata che odierna, visto che il dibattito sul ruolo della donna è ancora molto aperto e discusso. Noi siamo ancora in piena fase promozionale sia in Italia che all’estero, essendo un album recepito molto positivamente sia da un punto di vista sonoro che per l’argomento trattato. Al momento, oltre all’Italia, stiamo lavorando alla promozione di “Pirate Queens” in Germania, Repubblica Ceca, Belgio e Olanda.

L'articolo OUT OF THE BLUE | Un disco di storia, di contaminazione, di donne leggendarie proviene da Sound Contest.

]]>
FLAMING FINGERS |  In ANTEPRIMA l’esordio del quintetto salentino https://www.soundcontest.com/flaming-fingers-in-anteprima-lesordio-del-quintetto-salentino/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=flaming-fingers-in-anteprima-lesordio-del-quintetto-salentino Thu, 05 Oct 2023 07:00:07 +0000 https://www.soundcontest.com/?p=62329 Esce domani 6 ottobre questo esordio eponimo del quintetto salentino che mescola Jazz e resto del mondo, un suono che si ancora alle derive più classiche di una ricerca che definirei più antropologica che filologica. Di sicuro la geografia è un punto chiave nella lettura dei brani e che bella questa produzione in musicassetta portata […]

L'articolo FLAMING FINGERS |  In ANTEPRIMA l’esordio del quintetto salentino proviene da Sound Contest.

]]>
Esce domani 6 ottobre questo esordio eponimo del quintetto salentino che mescola Jazz e resto del mondo, un suono che si ancora alle derive più classiche di una ricerca che definirei più antropologica che filologica. Di sicuro la geografia è un punto chiave nella lettura dei brani e che bella questa produzione in musicassetta portata avanti dalla Lobello Records di Tobia Lamare. Ovviamente la tradizione pugliese, ovviamente il Mediterraneo, ma non deve stupire l’Africa e neanche quel certo modo di incontrare l’elettronica. Lasciamo spazio ai convenevoli e vi regaliamo in anteprima l’ascolto del disco che si è lasciato anticipare dal singolo “Focus” che sulle prime richiama alla mente una certa nevralgia alla Miles Davis.

 

 

Ci sono generi musicali che spesso vivono proprio di radici antiche. Il folk, il blues… il jazz invece cerca continue contaminazioni. La vostra?

Nelle nostre composizioni la contaminazione avviene su più livelli.

Quello che ascoltiamo quotidianamente influenza il nostro concetto di musica, partendo dal jazz in tutte le sue sfaccettature (che sia free jazz, Hard Bop, Dixieland, Fusion o cool jazz) e passando per il reggae, prog rock, metal, musica elettronica e world music. Molti di questi generi li suoniamo in progetti paralleli e quindi, ad un livello più personale, suonare più generi significa assorbire e fare propri più linguaggi.

Da un punto di vista più intimo (e probabilmente quello più importante per il nostro progetto) ognuno influenza con il proprio stile e il proprio sound quella che è la composizione originaria, che parte dall’atto creativo del singolo, fissata su spartito e che poi prende vita nel momento in cui si entra in sala prove. Il duplice vantaggio è che il sound generale acquisisce una sua identità che è data dalla commistione delle nostre esperienze singole e che ognuno di noi è davvero libero di esprimersi per il bene del progetto.

E se dovessimo dare una geografia a questo nuovo disco? Europa o resto del mondo 

Nel nostro disco abbiamo strizzato l’occhio all’Hard Bop, al free, all’afro, al funk, all’elettronica e al jazz moderno.

Ci piace pensare, senza voler peccare di presunzione, che anche nella zona più remota della terra qualcuno possa in qualche modo riconoscersi anche soltanto in uno dei nostri brani, perché il vantaggio di qualsiasi forma d’arte è che non ha bisogno di un traduttore o di essere necessariamente codificata per poter arrivare a destinazione, collocando il nostro lavoro nel “resto del mondo”.

Elettronica e futuro? Questo disco eponimo quanto guarda al futuro?

Il disco si chiude con “Est” che è il brano con più elettronica rispetto agli altri. È stata una scelta voluta quella di inserirlo come brano di chiusura, in parte come nota a noi stessi su quello che potrebbe accadere nel prossimo lavoro, con le potenzialità e le sonorità che si possono ottenere grazie appunto all’elettronica. Come tutti i brani già scritti, quelli futuri nasceranno dall’esigenza di voler dare sfogo alla nostra creatività. Ciò potrebbe implicare anche l’uso di una effettistica maggiore per aprire più porte ed esplorare più mondi, ma non necessariamente diventerà la nostra priorità. Il bello del futuro è che è tutto da scrivere.

E invece al passato ci guarda pensando alla produzione in musicassetta. Che storia è questa?

Quest’idea nasce in collaborazione con la nostra etichetta, la “Lobello records”. È un’etichetta che da sempre riesce a trovare nel moderno un accenno di vintage e nel vintage tanta modernità. Il più delle volte si rincorre il futuro senza pensare che gli stimoli maggiori provengono invece dal passato. In questo caso la musicassetta per noi flaming fingers rappresenta un bel ricordo: il ricordo dei nostri primi album ascoltati da piccoli (siamo tutti e cinque nati tra gli anni ’80 e i primi ’90), di supporti fisici che rendono la musica tangibile e facilmente ed elegantemente trasportabile.

Un supporto come le MC secondo voi che rappresentano? Una moda o una degna alternativa al suono di oggi?

Se la musicassetta tornasse di moda potremmo certo dire di aver contribuito, nel nostro piccolo, a questa rivoluzione. Sarebbe bello. Inoltre chiunque abbia avuto modo di ascoltare musica da questo supporto sa di quanta pazienza bisogna armarsi: cercare il punto preciso in cui quel brano inizia o anche solo trovare quel ritornello o quel riff in particolare, armeggiare con i “rewind” e “forward”, quasi più utili del semplice tasto “play”, porta l’ascolto in una dimensione poetica, di cura e di attenzione. In un periodo storico in cui la fretta è padrona del nostro tempo, riprendere a dare la giusta importanza alle cose sarebbe sacrosanto.

A chiudere: questo video? Assai essenziale, poco figurativo ma decisamente didascalico al suono… perché?

La musica strumentale ha un grande vantaggio: poter dire tutto quello che chi ascolta riesce ad immaginare.

Scrivere un bel testo che sia ricco di significato è tra le cose più difficili che ci siano. Motivo per il quale siamo dell’opinione che “less is more”. Abbiamo pensato, in questo caso, che anche l’essenzialità visiva possa essere d’aiuto: in questo modo chi guarda il video e ascolta il brano (di stampo afro) può immaginare di trovarsi in una savana oppure intorno ad un falò in spiaggia e ballare tra amici oppure nulla di tutto ciò, semplicemente ascoltare la musica solo per il gusto di farlo.

L'articolo FLAMING FINGERS |  In ANTEPRIMA l’esordio del quintetto salentino proviene da Sound Contest.

]]>